Femminicidio. Alle radici della violenza

In Italia, chi parla di femminicidio attira facilmente reazioni che vanno dal fastidio, all’irritazione a forme di violenza verbale, soprattutto se chi ne parla è lo stesso genere femminile (chiedetelo alle autrici del blog femminismo a sud).
Leitmotiv e presupposto apparentemente convincente di queste risposte è nella considerazione che un omicidio è sempre un crimine, a prescindere dal genere della persona colpita. E’ sempre da condannare -dicono-, ma non si capisce perché attribuire uno status speciale alla donna, quando questo costituirebbe un ostacolo alla stessa uguaglianza dei diritti che si persegue.

Nel migliore dei casi, questa è una tesi ingenua. Si pretende infatti di cancellare dinamiche e moventi che caratterizzano ogni crimine e tanto più l’omicidio (su queste basi si distinguono l’omicidio volontario, preterintenzionale o colposo) e per il quale sono riconosciute varie tipologie di aggravanti in pressoché ogni ordinamento giuridico.

L’aggressione violenta di una donna è infatti spesso innescata -nella mente di chi colpisce- dallo status ontologico che alla donna è attribuito: si aggredisce la donna per quello che è, non per qualcosa che abbia fatto. In questo senso la violenza verso il genere femminile non ha un equivalente simmetrico nei confronti del genere maschile, così come non si è mai sentito di una persona aggredita perché eterosessuale o (in Italia) di un “bianco caucasico” (nel senso politicamente corretto di derivazione anglofona) aggredito e ucciso perché riconosciuto come tale.Caratteristica comune in questi casi è dunque l’esercizio del dominio, esercitato come possesso di una persona, di un luogo e del potere di imporre un codice di comportamento: un dominio che si esprime sia tramite la violenza fisica (il femminicidio è la classica punta di un iceberg), sia in multiformi versioni di violenza psicologica.
Tuttavia, non è qui interessante entrare nelle logiche psicologiche del singolo caso: è invece importante chiedersi quanto sia radicata la cultura del dominio maschile, perché vi sia una forte resistenza a riconoscerla e infine che fare per abbatterla.

Un indice dello stato disastroso in cui versa l’Italia dal punto di vista della discriminazione di genere ci è stato dato pochi giorni fa dall’ISTAT in alcuni numeri che non ammettono replica (qui un breve estratto di dati su Repubblica ). Non si tratta di una componente marginale della popolazione italiana, al contrario, si tratta di un fenomeno esteso, sistemico, parte integrante della società intera e presumibilmente non separabile da essa: stiamo parlando di alcuni milioni di cittadine italiane, le cui scelte sono vincolate, prive di indipendenza economica e di fatto con libertà limitata.

Né è possibile ridurre il dominio maschile alla sola violenza o al solo fattore di controllo economico. Non è necessario scomodare la biopolitica: è sufficiente affacciarsi sui dati riguardanti la presenza femminile in ruoli che implichino un potere decisionale. A titolo di esempio, basti ricordare che le donne nelle università italiane rappresentano il 51,8 % dei ricercatori, ma solo il 17,7 % di professori ordinari. Solo per carità di Patria evitiamo di nominare la composizione di Parlamento e Governo nelle ultime legislature.
La struttura della società italiana ha tra i suoi elementi essenziali la discriminazione e la violenza di genere, un tratto che alcuni fanno risalire in termini culturali all’egemonia della Chiesa così come strutturata a partire da Sant’Agostino (tra le altre cose, noto misogino) e che di sicuro è oggi preservato con efficacia dai mezzi di comunicazione che ai generi attribuiscono ruoli e valori stereotipati facilmente identificabili.

Qui il cerchio si chiude: l’impermeabilità della società si mostra non solo nei confronti della possibilità di prendere delle contromisure reali, ma anche rispetto alla sola ammissione dell’esistenza di un problema legato al fenomeno, una caratteristica che ha la sua manifestazione più esplicita nella diffusa scelta del silenzio di fronte alla violenza a cui si è assistito o che si è subita in prima persona.
Senza voler ricorrere ad una rappresentazione grottesca della società come di un unico agente consapevole che si difende dagli attacchi “esterni”, è sufficiente prendere in considerazione la lezione che ci arriva dagli ultimi venti anni di psicologia sociale, basati -anche- su simulazione di agenti artificiali: anche quando questi si muovano in base a regole proprie e non si coordinino in modo esplicito, emergeranno comportamenti collettivi complessi che tenderanno ad un equilibrio più o meno robusto. Un equilibrio che il Sistema tenderà a non abbandonare.
Detto in termini più classici, un sistema di potere egemonico preserva e riproduce se stesso, resistendo ad ogni forma di cambiamento.

Come è possibile quindi vincere questa battaglia? Questo è il problema più importante da affrontare. Due indicazioni possiamo ricavarle dalla storia recente del nostro Paese: non è un caso se i maggiori avanzamenti in senso giuridico sul tema in questione (si pensi ai temi dell’aborto, del divorzio, dello stupro come reato contro la persona piuttosto che contro la morale, del delitto d’onore ecc.) siano avvenuti in contesti nei quali si è messo in discussione l’assetto complessivo della società italiana. Simmetricamente, il periodo di peggior degrado lo si è avuto negli ultimi venti anni, in concomitanza con il generale deterioramento della libertà di espressione, la rappresentazione mediatica e politica del ruolo e il corpo della donna, l’aumento delle politiche xenofobe e omofobe, la precarizzazione selvaggia del lavoro, la svalutazione delle istituzioni legate all’istruzione, per citare alcuni elementi particolarmente evidenti.

Quindi: 1) non si può affrontare un solo tratto distintivo di questo sistema ignorando gli altri e come conseguenza 2) non si può portare un cambiamento senza innescare una rottura con una parte della società. L’unità nazionale di fronte a temi fondanti della società può infatti solo conseguire lo scopo di preservare l’esistente.

Il punto di equilibrio esistente deve quindi essere affrontato andando a colpire la maggior parte dei tratti essenziali -se non tutti- caratterizzanti la forma di dominio che ne rende possibile la stabilità. Allo stesso tempo (e non in una fase successiva alla messa in crisi del sistema esistente) bisogna spingere il sistema verso un diverso punto di equilibrio, anche questo costituito da una serie eterogenea di tratti distintivi. Una ipotesi questa che si contrappone ad una rappresentazione della società basata su un unico cardine (rapporti economici, contratto giuridico, sovrastrutture e strutture ecc.) ma che trae origine invece dalle rappresentazioni multi-nodali proprie delle strutture a rete non uniformi.

Quale che sia il modello della società di riferimento, l’obiettivo resta quello di un atto politico complesso: un conflitto (che non implica necessariamente la violenza delle pratiche, anzi!) e non una mera questione tecnica o giuridica.

 

Apparso per la prima volta il 28 maggio 2012 su http://www.articolo21.org/2012/05/femminicidio-alle-radici-della-violenza/

Valori Legali

Il 17 aprile è partito il controsondaggio sul valore legale laurea, promosso dalle Assemblee nazionali Università bene comune e Scuola bene comune.

Da circa tre settimane è stata aperta la consultazione pubblica on-line del MIUR sul tema del “valore legale del titolo di studio” (VLTS): l’oggetto della questione, il valore legale della laurea in particolare sembra essere il bersaglio privilegiato della grande (?) stampa e di Governi tecnici e di vario colore politico, ma i motivi forniti sono offensivi per il buon senso e l’intelligenza comune.

Come rilevato tra gli altri nella relazione conclusiva dell’indagine conoscitiva svolta dalla Settima Commissione del Senato  è chiaro come non sia possibile in un processo di integrazione europea eliminare il VLTS, a meno di non concepire contemporaneamente un ente sovranazionale che possa attribuire un qualche punteggio (con che criteri?) a tutte le lauree di qualsiasi istituto e università europei, in modo da garantire la attuale mobilità dei cittadini europei all’interno delle università e in ambito lavorativo. Allo stesso modo è imbarazzante sostenere che la certificazione delle competenze di un singolo individuo (quando si parla di accesso alle categorie professionali) solo sulla base di un esame sia più efficace della valutazione attuale basata sia su un esame ad hoc, sia su un intero curriculum di studi (e spesso anche di un lungo periodo di formazione e tirocinio).

Fuori dal mondo infine le affermazioni di chi sostiene che l’abrogazione del VLTS sia necessaria per la libera selezione dei privati, dato che già oggi questi sono legittimati, se lo desiderano, a ignorare i titoli e basare unicamente le selezioni sul colloquio o sulla reputazione di una università o altro luogo in cui il candidato si sia formato.

Il punto quindi è un altro: l’ipotesi reale su cui si lavora è quella della eliminazione del valore del voto di laurea, certificando l’incapacità dello Stato nel garantire alti ed uniformi livelli formativi nelle proprie università. La conseguente parametrizzazione del valore di una laurea (che avrà come unico ambito i concorsi pubblici), porterà a squilibrare le domande di iscrizione nelle università: questo scenario si affianca alla eliminazione del tetto sulla tassazione nei confronti degli studenti. In poche parole, poche università ben valutate (ANVUR), caratterizzate da tasse molto alte: una formazione prevalentemente tecnica e appannaggio dei ricchi.

Questo scenario non è contrario solamente alla giustizia sociale come disegnata dalla nostra Carta Costituzionale, è anche uno scenario miope che ci relegherà come Paese ad un declino sempre più rapido in termini sociali, economici, politici e ovviamente culturali.

TILT considera questo come uno dei punti strategici delle proprie battaglie. Le mire reazionarie della politica dominante non ci spingeranno comunque a diventare conservatori: costruiremo uno Stato che non si tiri indietro dalle sfide poste dal mondo, che garantisca alti livelli di formazione diffusa, con titoli di studio a garanzia di una qualità elevata di conoscenze in ogni disciplina in cui vengano conseguite.

Il tutto con buona pace per Einaudi.

 

Articolo apparso per la prima volta qui: http://www.tiltcamp.it/articoli/controsondaggio-sul-valore-legale-della-laurea/

The BBC Affaire

Pubblico qui un carteggio nato in seguito ad una intervista rilasciata ad Alan Johnston (BBC News, Italy)
http://www.bbc.co.uk/news/magazine-16871801

Prima mail

Hi Alan,

I do remember the interview: it was a really good interview and this is the only reason why i am going to waste a few minutes of your time asking you a couple of questions. Please don’t get me wrong: i have not interests in complaining, i just want to understand what happened to the contents.

In the past months, my friends and I have given several interviews: each of us with his/her own style, but we usually try to provide an analysis of the situation (sometimes relying on examples describing personal experiences) and then we try to sketch a few simple ideas about possible solutions to the problems.
All these interviews by journals and TV networks end in the same way: we are presented as a “caso umano” (translated more or less in: “look at that poor helpless guy in need”). I must say i was happy to have the chance to talk with somebody from the BBC and I told myself: “this time it’s going to be different: these journalists are serious and know how to report to their readers/listeners/etc”.

Now, it may be that i have given you the idea that i am helpless, but i kind of remember that at least I have been able to say clearly that Monti and the whole european austerity system is making the situation worse for all of us. I also tried to provide reasons for that and if i did not convince you, it would have been a good idea to ask for more details. But that was not the point, was it?
Question is: What’s going on with journalism?
“Poor young fellow, let’s hope a 70 years old man close to the bankers will take care of him”. That’s what I read between the lines in the article and that’s not what is going on here: I am not helpless, I am frustrated! Not only i am not allowed to take care of myself, but I am also described by the media as if I am not willing or able to do it .

Once again, I am not complaining and I still think it was a nice chat, but it’s about time to ask for a change.

All the best,
Vincenzo

Prima risposta

Hi Vincenzo,

Thanks for your note, and I’m really sorry that you are unhappy with the way you were presented in the article I wrote. Of course that’s the last thing that I wanted. In your letter you asked some questions because, as you say, you want to know how the piece was put together. And I’m more than happy to explain.

You say in your note that I made you appear helpless. That I portrayed you as “not willing or able” to take care your of employment prospects. But in my defence, these are some of the things that you actually said while we talked — quotes. You said “the point is that you don’t have the option. You are forced to go away….” And later you made the point again. “You’re forced to go away….it’s sad because it’s not an option….I would love to have the option….” You really did give me the impression that day that you were unable to control your employment prospects — to help yourself — in the face of a very unfair system. To me, what I wrote doesn’t feel like an inaccurate reflection of what you said. I even included one of your quotes in the piece.

And I don’t think that I portrayed you as being “unwilling” to help yourself. What I actually wrote was this: “Vincenzo has spent years engaged in left-wing political activism. He has worked to try to change things here.” Surely nobody could read that and then draw the conclusion that you have been “unwilling” to try to change your situaton. It is unfair to say, as you do, that I presented you in that way.

I appreciate that you are also unhappy that I didn’t reflect your view that Monti’s austerity programme “is making the situation worse”. At one point in the interview you said, “They say that they want to create more jobs to help the young people, but it’s not going to work — it’s not going to work because it didn’t work in Greece. It didn’t work in Argentina.” And you may well be right. This government may well fail. But I would say that it is still early to say that it will achieve nothing. That it will definitely make things worse. Maybe Italy isn’t quite the same as Greece. Maybe there are different economic factors at work here. Maybe it’s a bit like Britain, which some people would argue did respond to some tough economics in the 80s. Maybe Monti will actually deliver some more new jobs. If you say something to a journalist and he doesn’t put it in his article, it doesn’t necessarily mean — as you suggest — that he doesn’t understand, or that he’s not reporting properly. A journalist’s job is not just to write down everything he gets told in an interview. The job is to think about what he’s told in the light of other things that are going on, and then make choices about what should be included, and what shouldn’t. You won’t agree with the choice that I made. But as I listened as you spoke that morning, I felt that the case that you made is not yet quite proven. But if and when it is clear that Monti is indeed failing the young people of Italy, I will definitely report that. And it’s hardly as if I suggested that Monti has the answer. Immediately after I mentioned his plans, another interviewee dismissed them. He describes them in my piece as “just talk”.

You may well not agree with anything that I’ve said here. But I really appreciated the tone of your note to me, and I hope you can see that I have tried to explain how was I was thinking as I put the article together.

All the best,

Alan

Seconda mail

Hi Alan,

Thank you for your reply: you gave me material to think about.

It seems to me it is a problem of perspectives: from my point of view, my present condition cannot be separated from my ideas of where i want to be and the tools i need to get there.
Now, as you wrote me, my ideas about the government and its politics are not facts, so you may be right in avoiding writing about that: I see you have a good point, but then I’m wondering how to face politics proposed via mass media by the italian gerontocratic system. It doesn’t sound like a good idea to sit and wait for history to take place and part of our problem is that we aim at providing a different representation of reality.

Long story short, I think I am missing something.

Thanks for your patiente: hope there will be chance in the future for more talk.

All the best,
Vincenzo

PS I would like to publish this whole conversation on my blog (jointly with a link to the article), if you are ok with it.

Seconda risposta

Hi Vincenzo,

Thanks for your reply. And with regard to whether I should have included your critique of Mr Monti’s broad approach, of course I understand the point that you make –that you don’t want to wait for the judgement of history as to whether he might get it right or not. And I’m really not suggesting that we do that. I’m sure that the government will be judged as its policies unfold. And I’ll be dong my best to work things out as they go along. All I’m saying is that in these weeks when Mr Monti is still putting his plans in place, it just seemed premature to include the argument that he was already making things worse. Just at a time when it felt like Italy was actually edging away from a Greek-type scenario, it seemed to jar a bit to make the argument that the country would go in somthing like that direction. I appreciate though that this may be the most temporary trend. That quite soon Italy might again be looking more like Greece. As I said before, you may be right. All I’m saying is that at the time we talked, it felt early to make the case that failure was inevitable. But once again, I don’t think that my piece suggested that the government necessarily had the answers. The one comment on its plans comes from the contributor who follows you, who dismisses the programme as “just talk”.

And in your letter you ask how you can challenge the politics of the “Italian gerontocratic system” as “proposed via the mass media”. But I guess I would say that in a piece I did a little early I did my best to reflect the politics of those of some of your generation who are challenging the “gerontocratic system”. And I am sure I will be reflecting that sort of perspective again in the future as I try to paint the fullest picture of the situation here. I’m sure that you will argue that the earlier piece is not a complete view, or that misses important aspects of the broader argument. But anyway, I have copied it below in case you want to take a look.

All the best,
Alan.

http://www.bbc.co.uk/news/mobile/world-europe-15991026

Terza mail

Hi Alan, (sorry for the delay: i thought I have sent you this few days ago, but it was still in the draft folder)

Actually I liked the article! I would have mentioned that Rome does not have a “normal” major: it becomes easier to understand why people in the Valle theatre will never trust his word. (Would you?)

Thinking about how to make a full picture of the situation…
http://www.corriere.it/economia/12_febbraio_21/lettera-studenti-premier_8c6b8742-5c6d-11e1-beff-3dad6e87678a.shtml
this open letter has been published a couple of days ago on by the “Corriere della Sera” (second widest diffused newspaper in Italy) and mentioned several times by other networks. Long story short, it is a pro-Monti open letter in support of liberism and free-market written by self describing “young students in their twenties”.
After a brief research (simple use of google!), independent bloggers (http://ilcorsaro.info/palazzo/316-a-chi-la-bambagia-i-legami-tra-gli-studenti-del-corsera-e-il-pdl) have find out that most of the authors are strongly connected with the PDL (Berlusconi’s political party) or in general collaborate with right wing groups (at least one writes constantly for a racist, cripto-fascist online magazine), generally from rich families.

Interestingly, the authors have not been asked to tell who they are and what their condition is: the Corriere decided to publish their political ideas and opinions selling them as ideas coming from the “young”.

It is probably bad journalism, but they have the right to do it -of course!-: journalists like everybody else have political opinions and hence, they have biases, fair enough!
Point is: in Italy there was already a “wee bit” unbalanced news system when Berlusconi was in power and the things -incredibly- got worse when the new government started to receive support from all major political party, because now almost everyone is providing news using the same perspective. As a result, given a huge economic and social problem, we are told there only is one “technical” -neutral- solution. It is a bitter medicine, but it is the only cure (and this is one of the most used metaphors). Even when the discussion presented by the media focusses on an important issue (such as article 18), it is given for granted the main idea that Italy needs more liberism to get rid of the crisis, problem is how to implement it (e.g. with or without article 18).

I don’t know exactly how much Paul Krugman (or similar positions) is read in English speaking countries, but we hardly have anything like that presented as a serious idea here in Italy. Those who have these positions are presented as ultra-liberals, non-realistic idialists, or they are simply ignored, focussing the attention on the condition of the speaker rather than on the spoken words.

After your explanation, I would not say your article belongs to this phenomenon, but maybe it is easier to understand my reaction.

Best,

Vinc.

 

Il sole di mezzanotte e altre amenità solari

Ci sono un paio leggende metropolitane che vengono spesso associate all’idea della produzione di energia elettrica che sfrutti la fonte primaria di energia terreste: il sole.

In particolare, chi si oppone all’utilizzo del solare a prescindere dalla tecnologia utilizzata, si basa su due argomenti in apparenza inattaccabili:

1) L’argomento tecnico: allo stato attuale, il solare non è utilizzabile perché per poter fornire l’Italia di tutta l’energia che essa oggi richiede, sarebbe necessario ricoprire l’intera superficie dello Stato italiano.
2) L’argomento popolare: anche se le tecnologie permettessero di produrre una quantità di energia sufficiente, non c’è modo di produrre energia quando la giornata è nuvolosa e soprattutto, di notte, quando il sole, semplicemente non c’è.

Fin qui i fattoidi, adesso passiamo alla realtà dei fatti.

Il primo argomento è stato utilizzato (tra gli altri) anche da Tremonti, che come sappiamo ha delle difficoltà in contabilità:

  1. Al 2009, il consumo complessivo di energia elettrica in Italia è stato pari a 299 915 GWh (ai quali si aggiungono circa 20 353 GWh che vanno annualmente dispersi in vario modo). La potenza richiesta italiana equivale in media a circa 38,5 GW di potenza elettrica lorda istantanea (36,4 GW di potenza elettrica netta istantanea), con valori che oscillano tra la notte e il giorno mediamente da 22 a 50 GW, con punte minime e massime rispettivamente di 18,8 e 51,8 GW.
  2. Data la tecnologia MENO efficiente oggi diponibile, si stima (per difetto) un irraggiamento medio in Italia di circa 1700 kWh/m² anno (usiamo Roma come incidenza media): contando l’efficizenza dei pannelli, ad oggi intorno il 15% e vari effetti di dispersione otteniamo approssimativamente 200kWh/mq e con un picco istantaneo di circa 1 KW ogni 7,2 metri quadri.
  3. Dato che l’italia dispone di una superficie di 301 336 milioni di m², facendo un paio di moltiplicazioni, si ottiene un totale di oltre 60 milioni di GWh e 41 852 GW di potenza istantanea (rapporti: 1/200 nel primo caso e 1/1000 nel secondo). In altre parole se veramente si coprisse l’intera superficie italiana, la potenza erogata supererebbe di gran lunga quella oggi richiesta: per coprire il picco massimo di consumi sarebbe sufficiente coprire meno di 400 milioni di m² (data una condizione eccellente di esposizione dei pannelli al sole), pari allo 0,12% della superficie totale.

Ovviamente si tratta di un calcolo che rappresenta solamente un esercizio matematico: la soluzione non è realizzabile per ovvi motivi e non risolverebbe il problema della richiesta di energia durante le fasi di scarsa o nulla esposizione alla luce solare. Resta però il fatto che le cifre usate spesso dagli oppositori del solare non abbiano niente a che vedere con la realtà.

La buona notizia è che le tecnologie oggi esistenti hanno già ampiamente superato la -scarsa- efficienza associata ad un pannello solare  fotovoltaico, responsabile della produzione elettrica fin qui stimata.

Qui entra in campo il secondo argomento, apparentemente definitivo: si può sbagliare con le stime, ma bisognerà ammettere che se l’energia richiede la presenza del sole, allora di notte non si potrà produrre energia. Ma chi lo dice che il solare richiede sempre la presenza del sole? Attualmente esistono almeno tre diversi tipi di tecnologie ampiamente usate, testate e commercializzate (su piccola o grande scala): si tratta del solare termico, del fotovoltaico e degli impianti a concentrazione o termodinamici. Questi ultimi vantano una delle varianti più efficienti in Italia, grazie anche al lavoro del fisico premio Nobel Carlo Rubbia. In particolare, la centrale solare termodinamica “Archimede, inaugurata il 15 luglio 2010 a Priolo Gargallo (SR) presenta una caratteristica interessante, dato che è in grado di produrre energia elettrica anche quando il sole non c’è.

Si tratta infatti di una centrale capace di utilizzare il sole per riscaldare dei sali fino a temperature che superano i 500 gradi: questi sali impiegano molto tempo a raffreddarsi e possono quindi essere utilizzati per generare vapore (e quindi muovere le turbine che producono energia) per un tempo che allo stato attuale delle tecnologie raggiunge le 8 ore consecutive in totale assenza di esposizione solare. Ecco un video esplicativo da Ambiente Italia (Rai3) ed una descrizione puntuale proveniente da wikipedia.

Sulla base di queste nuove tecnologie e con l’idea che sia possibile svilupparle ulteriormente, è nato nel 2010 il progetto DESERTEC, che mostra come sarebbe possibile già oggi utilizzare le zone desertiche a sud e a nord del mediterraneo con centrali a concentrazione permettendo (con un circuito integrato solo da altre fonti di energia rinnovabili) non solo di alimentare di energia elettrica l’intera area euromediterranea, ma anche di fornire grandi quantitativi di acqua dolce, partendo dall’acqua di mare proprio nelle zone desertiche.

Non fantascienza quindi, ma applicazione di ciò che si conosce. Se poi si decidesse di investire anche in ricerca di sistemi ancora più efficienti e meno impattanti, in pochi anni le soluzioni proposte e rese materialmente applicabili supererebbero la nostra più fervida fantasia.

Acknowledgement: Vito Trianni, IRIDIA-CoDE
Si ringrazia Marco D. per aver segnalato un errore di calcolo nella prima versione dell’articolo.

[Articolo apparso per la prima volta qui: http://www.sinistraecologialiberta.it/articoli/il-sole-di-mezzanotte-e-altre-amenita-solari a modificato in seguito ad un commento apparso su quel sito]

Balle atomiche, parte seconda: sicurezza

Pubblicato l’8 giugno 2011 sul portale di SEL: http://www.sinistraecologialiberta.it/articoli/balle-atomiche-parte-seconda-sicurezza

Nel periodo immediatamente successivo all’incidente di Fukushima (marzo 2011), il discorso sulla presunta sicurezza delle centrali nucleari ha ricevuto molto meno spazio che in passato. Già oggi, però, nonostante l’incidente giapponese sia molto lontano dall’essere risolto, i sostenitori del nucleare e dell’astensione al referendum hanno ricominciato ad spacciare per vero l’assunto che gli incidenti avvenuti siano pochissimi e sempre legati a luoghi dove gli standard di sicurezza e tecnologici sono in definitiva molto bassi.

I Fatti: partendo dal principio che il mero conteggio del numero di incidenti è chiaramente meno interessante di una analisi dell’impatto provocato dall’incidente (come dire che cento incidenti in centrali eoliche fanno meno danni -più facilmente gestibili e meno costosi- rispetto ad un unico incidente in una centrale nucleare), la quantità di incidenti nucleari è generalmente sottostimata.

Quella che segue è quindi una forma di esercizio di memoria: la lista di alcuni tra gli incidenti più noti legati all’utilizzo della nucleare civile.

1952 – Chalk river, Canada – parziale fusione del nocciolo del reattore, con successiva fuoriuscita di liquido refrigerante contaminato, fatto confluire in una cava abbandonata.

1957 – Windscale, UK – combustione lenta della grafite del reattore con conseguente fuga di radioattività in forma di nube. La radioattività su Londra (distante 500 km dal reattore) giunge fino a 20 volte oltre il valore naturale.

1957 – Majak, ex-URSS – l’incidente interessa un deposito di materiali radioattivi localizzato in un sito militare segreto. Rilascio di radioattività nell’ambiente.

1958 – Chalk River, Canada – incendio di parte del combustibile con contaminazione dell’interno del reattore.

1958 – Vinča, Yugoslavia – contaminazione radioattiva di parte del personale in seguito ad un guasto legato ai rilevatori di radiazioni.

1959 – Santa Susana Field Laboratory, California, USA – Fusione parziale del nocciolo in seguito ad una forte escursione di potenza: significative fughe di gas radioattivo.

1964 – Charlestown, Rhode Island, USA – Incidente che interessa la massa critica del reattore, generato da un errore di valutazione di un operatore, esposto ad una dose letale di radiazioni.

1966 – Monroe, Michigan, USA – Fusione parziale del nocciolo con contaminazione del vaso di contenimento.

1966-1967 (data esatta sconosciuta, luogo esatto sconosciuto). Perdita di potenza dell’impianto di raffreddamento, con conseguente probabile fusione del nocciolo del rompighiaccio sovietico Lenin. Livelli di contaminazione prodotti: sconosciuti; numero esatto di decessi nell’equipaggio: ignoto.

1967 – Dumfries e Galloway, UK – Incendio del combustibile con conseguente contaminazione interna al reattore.

1969 – Lucens, Svizzera – Un difetto consistente nel sistema di raffreddamento causa la fusione e l’esplosione del nocciolo, con conseguente massiccia contaminazione della caverna nella quale il reattore è costruito. Radiazioni all’esterno della caverna vengono evitate ma si è costretti a sigillare l’area e interdire l’accesso.

1975 – Greifswald, ex Germania Est – Danni parziali al combustibile fissile generatisi in seguito ad una simulazione di condizioni di emergenza riguardanti l’impianto di raffreddamento.

1977 – Jaslovské Bohunice, ex- Cecoslovacchia – Danni al combustibile fissile con rilascio di radioattività nell’area della centrale.

1979 – Three Mile Island, Pennsylvania, USA. La fusione parziale del nocciolo causa un eccesso di vapori radioattivi che vengono rilasciati all’esterno dell’impianto. I gravissimi danni riportati rendono necessaria la chiusura dell’unità due, ad oggi -32 anni dopo- ancora sotto monitoraggio, in attesa delle future azioni di smantellamento.

1980 – Saint-Laurent-Nouan, Francia. Fusione di un canale del carburante nel reattore con rilascio minimo di materiali nucleari.

1981 – Tsurunga, Giappone. Rilascio di materiale radioattivo nel Mar del Giappone.

1982 – Ontario, New York, USA. Una diminuzione del liquido refrigerante induce i tecnici a rilasciare in atmosfera una quantità di gas radioattivi per ridurre i rischi di esplosione del reattore.

1983 – Buenos Aires, Argentina. Durante un test, l’errore di un operatore comporta un aumento delle fissioni e di conseguenza l’esposizione a radiazioni letali all’interno dell’impianto.

1986 – Chernobyl, ex-URSS. Fusione completa del nocciolo con conseguente esplosione e scoperchiamento del reattore. La successiva fuga in aria di combustibile polverizzato e materiali altamente radioattivi causa una grave contaminazione ambientale che rende inabitabile per un tempo indefinito un’area di oltre 3000 km quadrati, influendo sul livello di radioattività naturale di buona parte dell’Europa. Circa 400000 persone vengono evacuate dalle aree maggiormente contaminate in Ucraina, Bielorussia e Russia. L’ONU accerta un bilancio di 65 morti nell’immediato, mentre stime a lungo termine variano a seconda delle analisi da 4000 a 100000 decessi causati in modo indiretto (tumori e leucemie su un arco di circa ottanta anni).

1986 – Hamm-Uentrop, ex-Germania Ovest. Parte del combustibile viene danneggiata a causa di un malfunzionamento meccanico: il successivo rilascio di radiazioni interessa un’area di circa due km di raggio a partire dal reattore.

1987 – Goiânia, Brasile. Un apparecchio di radioterapia abbandonato in un ospedale viene per errore aperto disperdendo nell’ambiente cesio-137.

1989 – Vandellos, Spagna. Incendio in uno dei due turbo-generatori.

1993 – Tomsk, Russia. In seguito all’esplosione del contenitore che custodisce le sostanze per la pulizia e la decontaminazione dei reattori, si liberano nell’ambiente uranio, plutonio, acido nitrico ed un misto di scorie organiche e radioattive, interessando un’area di oltre 120 km quadrati.

1999 – Tokaimura, Giappone. Un errore nella preparazione del nitrato di uranile provoca sovraesposizioni radiologiche dei lavoratori dell’impianto di fabbricazione di combustibile nucleare.

1999 – Ishikawa, Giappone. Un malfunzionamento del sistema di controllo delle barre di Uranio porta a 15 minuti di reazioni fissili fuori controllo. La compagnia elettrica Hokuriku, proprietaria del reattore falsifica le registrazioni facendo sparire l’incidente fino al marzo 2007.

2005 – Sellafield, UK. Per diversi mesi una perdita in una tubazione porta alla fuoriuscita di acido nitrico misto a uranio e plutonio che confluisce in un bacino di contenimento.

2005 – Braidwood, Illinois, USA. Contaminazione delle falde acquifere, a livelli ritenuti non pericolosi, causata da una perdita di tritio nella centrale.

2006 – Erwin, Tennessee, USA. Perdita di 35 litri di soluzione di uranio arricchito durante il trasferimento.

2006 – Fleurus, Belgio. Un incidente in un impianto radiologico commerciale causa un’elevata dose di radiazioni che investe uno dei lavoratori dell’impianto.

2011 (in corso: dati sono ancora parziali) – Fukushima, Giappone. In seguito ad una ondata di maremoto, si bloccano i generatori ausiliari relativi all’impianto di raffreddamento: molti i reattori compromessi da fusioni parziali, nonostante i meccanismi automatici di spegnimento siano entrati in funzione in seguito al terremoto. Diverse esplosioni -a distanza di giorni l’una dall’altra- hanno interessato i reattori provocando la dispersione di materiale radioattivo nell’area circostante, riversandosi in mare, rendendo inabitabile per un tempo indefinito un’area di circa 3000 km quadrati e innalzando i livelli medi di radioattività in una parte considerevole del Giappone, fino ad interessare Tokyo. La situazione non è ancora risolta, a distanza di tre mesi dal terremoto.

Balle atomiche, parte prima: i costi

Pubblicato qui: http://www.sinistraecologialiberta.it/articoli/balle-atomiche-parte-prima-i-costi

Tra le leggende metropolitane che si cercano di imporre attraverso la mera ripetizione di dati falsi, ce ne sono alcune che riguardano l’utilizzo dell’energia nucleare per la produzione di energia elettrica.

Fattoide – riproposto ad esempio in un simpatico cartello nella puntata del 2/06/2011 di Annozero, trasmissione condotta da Michele Santoro – : il costo di produzione dell’energia elettrica ricavata da centrali nucleari è più basso di qualsiasi altro sistema di produzione. Un esempio di stime prodotte: costo per un MegaWatt di energia

  • 450€ fotovoltaico
  • 60 € termico
  • 35 € nucleare

I fatti, per punti:

  1. Il confronto è portato prendendo in considerazione da un lato le centrali nucleari meno costose, ovvero quelle che prevedono misure di sicurezza molto meno rigide, rispetto a quelle che poi vengono presentate quando si parla di probabilità di incidenti (delle due l’una: o la probabilità di un incidente sale, oppure salgono i costi di produzione dell’energia). Dall’altro lato del confronto, invece, si prendono in considerazione i sistemi meno efficienti di produzione elettrica alternativi, ad esempio considerando il fotovoltaico di vecchia generazione (effettivamente in uso, ma che non verrebbe installato se si progettasse un eventuale impianto oggi).
  2. Non si tiene conto dell’aumento (considerato da tutti gli analisti come inevitabile) dei costi legati all’acquisto del “combustibile” – l’uranio -, che vedrà diminuire l’offerta (le risorse non sono infinite) e aumentare la domanda (molti paesi emergenti sono stati indotti all’uso del nucleare). Dovendo fare un calcolo dei costi legati alla produzione, qualunque industriale costretto a fare un investimento che vedrà l’inizio della produzione tra almeno un decennio (tempi di costruzione di una centrale), cercherebbe di fare un confronto basandosi su prezzi plausibili tra 10-20 anni, più il tempo di esercizio di una centrale (altri 40 anni circa per la generazione 3), se volesse capire l’effettiva competitività del “prodotto”.
  3. In modo del tutto illegittimo si esclude nel calcolo il conteggio sia delle spese relative allo stoccaggio delle scorie, sia delle spese relative allo smantellamento delle centrali. Per le prime, come è noto, occorre predisporre uno smaltimento che garantisca sicurezza per un tempo lungo  -letteralmente- migliaia di anni, causando spese proporzionalmente elevate. A questi costi vanno aggiunti quelli legati allo stesso “spegnimento” e messa in sicurezza richiesto da questo genere di centrali elettriche. Questa operazione richiede oggi in media circa 30 anni a partire dalla data in cui si decide di “spegnere”, ma ad esempio i lavori relativi al reattore di Calder Hall a Sellafield in Gran Bretagna, chiuso nel 2003, termineranno all’incirca nel 2115 (vedi: Nuclear Decomissioning) . Si tratta di un reattore di vecchia generazione e ci lascia immaginare quanto le finanze italiane abbiano tratto vantaggio dalla scelta del referendum anti-nuclearista.

PS su segnalazione: l’agenzia che si occupa di analisi statistiche per il dipartimento dell’Energia statunitense –U.S. Energy Information Administration (EIA)- pubblica ogni anno le sue stime. Qui potete leggere le ultime stime al 2020 e al 2035: in particolare segnalo per semplicità i grafici riguardanti i costi previsti, nei quali comunque non vengono conteggiate le spese riguardanti il trattamento delle scorie e quelle relative allo smantellamento delle centrali.

Ricerca in Aprile: repository eventi CPU e SEL

Link dedicato con la registrazione integrale di tutti gli interventi nella seconda assemblea nazionale del CPU: Pisa 2 aprile – http://precariunipi.noblogs.org/video/video-cpu-2011/

Testo di base utilizzato come punto di partenza per il workshop dedicato alla ricerca tenutosi durante l’evento SEL del 16 aprile a Roma – evento ricerca 2011.04.16 v0.2

In seguito alla discussione del 16, è stato realizzato un breve report di indirizzo per i prossimi sviluppi – SEL: report 16 aprile – ricerca

Backlashes of homogeneous research in EU

[Articolo inviato per il concorso “Careers column contest” indetto da Nature. Non vincitore]

I don’t know when the strategy has started overwhelming the others, but it has been clear to me since when I started my MSc in Scotland that in the last few years it is simply consolidating its position as the major way to conceive and produce science all over the EU system. The rules composing this strategy are as simple as the ratio they result from: in order to succeed in making good science, it is necessary to have the funds; in order to have the funds, we must show we are better than our competitors in a field; hence, the best investment consists in specialising and it can be best gained building groups oriented to a single target. This strategy comes at a high price: we are loosing heterogeneity as a major approach to reality and the resulting homogeneous groups are becoming less and less able to either change perspective and find alternatives or rapidly adapt should the overall context be found saturated. On the contrary, considering the level of specialisation acquired, it would still be a better investment to squeeze few things from an exhausted hypothesis, than try crossing unexplored fields.

Scientific paradigms have become small and awfully crowded. It is like if somewhere, somebody might have established that those researchers finding an hypothesis to be false, have failed in their work, wasted their time and -what is worst- wasted money. May Popper and the process of falsification rest in peace.

Now that the economic crisis is hitting hard in particular those countries like Italy characterised by weakening research programs due to decreasing funds (established by government’s ignorance enthusiasts), the strategy is becoming even more aggressive and pervasive. The already homogeneous groups, specialise even more, becoming oriented to the objective to create and provide new technologies or short life methods to apply to contingent problems, simply because that’s where the few remaining moneys are. Ultimately, this strategy gives more chances to secure funds in the short run, but in the long run, it is creating a weak system, drying up the reservoir of knowledge provided by abstract research and the richness (figuratively speaking) granted by the presence of multiple approaches and perspectives to each single problem.

The weakest link in the chain is easily to be identified in the young researchers: forced to bend to the request of their laboratory leader, they are selected on the very basis of their ability to pursue the provided objective with little or no space for individual paths of glory. Of course I am not trying to sell the story that young researchers ultimately work nowadays as in an assembly line, unaware of what they are doing, but it is difficult to deny that selection processes today value the most the specialisation in short range techniques and methods, despite the nice words about multidisciplinary studies and emerging complexity.

This system does not create researchers: it creates technicians. Even thought it is necessary to have such kind of professional figures, the EU system should better realise that it is not possible to build an effective research program, whilst trying to discourage the training of actual researchers.

Stay Human – Restiamo Umani

Seguivo Guerrilla Radio http://guerrillaradio.iobloggo.com/ (il blog di Vittorio Arrigoni) da ormai diverso tempo, ovvero da quando era stato segnalato da un altro blog, quello di Daniele Luttazzi. Era l’inverno a cavallo tra il 2008 e il 2009, durante l’operazione piombo fuso (27 dicembre 2008 – 18 gennaio 2009).

Se ci penso e torno indietro con la memoria, mi sembra di averci parlato invece che aver letto i suoi articoli. Di fatto il massimo scambio che ho avuto con lui sono stati un paio di post sulla sua pagina facebook a cui ha risposto, insieme ad altri… la sensazione oggi è quella di aver perso un amico. Uno di quelli lontani che si sentono poco, ma a cui capita di pensare perché in fondo ne ammiri il coraggio delle scelte.

 

When the levee breaks

If it keeps on rainin’, levee’s goin’ to break.
Se continua a piovere, la diga andrà in pezzi.
– Led Zeppelin

Riporto qui una bozza preliminare di appello che ho scritto per una ipotizzata manifestazione “generazionale” e dei precari, alcuni temi sono stati poi rielaborati ed espansi, altri aggiunti, altri sottratti (insomma come sempre avviene nei lavori a più mani, con stesure successive).

Il risultato finale è poi stato il frutto di un percorso condiviso che è partito da varie bozze: >>http://www.ilnostrotempoeadesso.it/

APPELLO

Vivere in questo paese è diventato umiliante.

Presente e prospettiva futura di chi vive oggi nei suoi 20 o 30 anni si concretizzano in un contratto a -breve- termine, l’ennesimo stage gratuito, un lavoro di insegnamento con paga simbolica a 1 euro o le varie forme del job on demand, per non parlare della miriade di lavori in nero o con finte partite IVA: un infinito, demotivante, orizzonte di stabile precarietà spacciata per flessibilità, di abusi, di dequalificante irrisione dell’investimento di ognuno in termini di preparazione e competenze, siano essere materiali o teoriche.
Condizione che riesce addirittura a peggiorare per le donne e che diventa ben oltre i limiti dell’umanamente sostenibile quando si prendono in considerazione i migranti.

Come se ciò non bastasse, siamo costretti a vedere ruoli di responsabilità e di potere decisionale ricoperti da uomini senza qualità se non quella di essere servili verso i pochi al comando. Deprimenti figure che fanno vanto della propria prostituzione materiale e intellettuale, presentandola come unica possibilità per affrancarsi dalla grottesca miseria del nostro Paese e dalla sua trappola di precarietà.

Ma questa non è una via di fuga: al contrario, è parte della trappola.

Per poter tornare a volare come vogliamo, dobbiamo liberarci della zavorra che ci tiene inchiodati al suolo, di questo sistema che mira unicamente a preservare se stesso, cibandosi di tutto, consumando e distruggendo quanto di bello potrebbe esistere nelle nostre vite.

Dimostriamo a noi stessi che meritiamo di meglio.
Mostriamo a noi stessi che non è troppo tardi per diventare artefici dei nostri destini. Il Mediterraneo torni ad essere un ponte di scambio tra civiltà: possiamo imparare da chi si è ribellato e si è ripreso il suo spazio.

Non è nostra la responsabilità dello stato di cose attuali, ma dobbiamo fare in modo di poterci assumere la responsabilità di ciò che avverrà da qui in poi.

Vale la pena provarci. Se non ora, quando?

LA VITA E’ ADESSO

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