Contributo minimale per l’incontro Conoscenza e Cultura organizzato da Liberi E Uguali

Qui di seguito un paio di punti ed una domanda che ho inviato come contributo alla discussione dell’incontro aperto “Conoscenza e Cultura” organizzato dalla lista elettorale Liberi e Uguali.

  1. Vecchi materiali che possono rivelarsi utili. Nel corso degli anni non sono mancate analisi e proposte anche approfondite e molto dettagliate sullo stato dell’alta formazione e della ricerca in Italia, sia in ambito pubblico che privato. Tra i vari sforzi in questo senso c’è un lavoro corale compiuto da associazioni e singoli dottorandi, ricercatori e docenti, coordinato da SEL e pubblicato nel gennaio 2013. I temi affrontati sono quelli noti: precariato, governance, ruolo unico, finanziamenti, diritto allo studio, dottorato di ricerca, sistema degli enti di ricerca ecc. Molti degli autori saranno presenti comunque all’incontro, ma penso condividere questo testo possa essere utile alla discussione per i dati e le proposte riportate: allego l’intero testo a questa mail (scaricabile qui: Libro_Bianco_U_R_SEL_2a_edizione).
  2. Una opportunità unica e senza precedenti nella storia Italiana. La Brexit e l’elezione di Trump in USA hanno avuto una serie di conseguenze in ambito economico e sociale. Tra queste conseguenze, una delle meno discusse è rappresentata da un dato che ha immediatamente interessato i sistemi universitari di entrambi questi Paesi. A causa del clima apertamente ostile ai migranti, sia veicolato da tentativi (più o meno riusciti) di legge, sia di carattere puramente culturale, si è registrata negli ultimi due anni una sensibile riduzione delle iscrizioni e delle richieste di visto di studenti, dottorandi, ricercatori e docenti (vedi ad esempio recenti articoli su Telegraph o NYTimes). Il sistema universitario USA e UK è largamente fondato sul continuo innesto di nuovi talenti formati altrove, per cui questa riduzione avrà effetti sensibili in pochi anni. Nel frattempo si è aperta una opportunità unica per altri Paesi di attrarre questi talenti, arricchire culturalmente ed economicamente l’alta formazione e la ricerca (per il procedimento inverso a quello dei cervelli in fuga) e contribuire ad una rapida internazionalizzazione di un sistema altrimenti fin troppo omogeneo. Nella UE, Germania e Francia hanno immediatamente fiutato l’opportunità e stanno investendo massicciamente nelle loro capacità di attrarre competenze e idee, offrendo fondi, accesso a mezzi e spazi adeguati, corsi di lingua ecc. e ovviamente un percorso rapido di accesso ad un visto di lavoro. L’Italia è completamente assente in questa corsa, nonostante alcune misure posano essere varate rapidamente e a costo zero, come ad esempio garantire l’accesso a visti facilitati, contribuendo così anche a minare la narrativa razzista del migrante/rifugiato che vive di lavori sotto-pagati o di criminalità.
  3. Un problema di competenze della rappresentanza. Il problema della sinistra in Italia negli ultimi 20 anni non è stato relativo alle analisi o ai programmi, quantomeno negli ambiti di Scuola, Università e Ricerca. Al contrario, diversi programmi buoni o eccellenti sulla carta sono stati proposti negli anni, salvo poi restare lettera morta (vedi caso SEL), non solo per mancanza di potere decisionale, ma per esplicita mancanza di interesse e conoscenze da parte dei rappresentanti eletti. A titolo puramente di esempio è sufficiente ricordare come le competenze in ambito scientifico siano spesso ignorate e non di rado osteggiate. La legge contro la sperimentazione animale proposta in questa legislatura ha avuto elementi di sinistra tra i suoi più accesi sostenitori. Fondata su basi anti-scientifiche, pensiero magico (“si può fare tutta la sperimentazione in vitro o in silico”) e su una curiosa versione di cripto-creazionismo (il principio fondante “tutte le specie sono diverse” nega di fatto i meccanismi che regolano l’evoluzione delle specie), è stata portata avanti rifiutando qualsiasi forma di confronto con chi lavora nel settore e ha competenze specifiche di natura teorica e pratica. Il legittimo tentativo di ottenere un diritto di tribuna da parte della lista Liberi e Uguali rischia di replicare metodi e pratiche degli ultimi anni in questa direzione. Chiudo quindi con una domanda aperta: quali misure si pensa di prendere per evitare queste situazioni si ripropongano?

Benvenuti a Bari, una città tradotta con google translator

Spulciando notizie a riguardo del G7 dei ministri delle finanze, Bari 11-13 Maggio, mi sono imbattuto per caso in un articolo della Gazzetta del Mezzogiorno. Programma di due giorni di lavori, musica al Petruzzelli, doni agli ospiti, motto in inglese, ecc.

Motto in inglese?! “Welcome to Bari, city of chance, where no one is a foreigner“.

Encomiabile la seconda parte, soprattutto di questi tempi in Italia. Bravi.

Peccato che sia vagamente compromessa dalla prima parte del messaggio. Che vuol dire? Città del gioco d’azzardo? Cerco “city of chance” online: potrebbe trattarsi di una espressione idiomatica inglese che non conosco. Mi ritrovo davanti ad una locandina di “City of Chance”, film hollywoodiano del 1940. Attrice protagonista: Lynn Bari (certe cose non te le puoi inventare), che interpreta una ragazza Texana (dico!) trasferitasi a New York per recuperare il suo fidanzato giocatore d’azzardo incallito. “City of chance” si riferisce a New York o al fatto che il fidanzato fosse un giocatore d’azzardo? Se New York avesse lu mere sarebbe una piccola Beri?

Ma New York ha il mare! Mistero.

A ben guardare nella fotografia riportata con l’articolo, il testo diventa  “city of chances” (plurale).

Forse si intendeva “city of second chances”? Una città che dà ai suoi abitanti una seconda possibilità. Sarebbe una bella cosa! Però forse era una considerazione storica, su come Bari sia diventata importante per una serie fortuita di eventi: “città per caso” (city by chance).

In fondo quello che conta è che nessuno è straniero a Bari. Una città di opportunità per google translator.

Con affetto e un po’ di nostalgia. <3

 

Bandi per giovani (?) ricercatori “Rita Levi Montalcini”, un confronto

Nel periodo post-dottorato, i ricercatori che perseguono una carriera in accademia hanno accesso a finanziamenti (grants o fellowships) e programmi specifici messi a disposizione con bandi in numerosi Paesi. Questi fondi sono concepiti per garantire la possibilità a ricercatori ad uno stadio intermedio della propria carriera (alcuni anni di ricerca autonoma alle spalle, ma non una posizione da strutturato) di fondare un proprio laboratorio. Si tratta di passaggio molto importante perche’ si consente in questo modo ad un ricercatore di condurre un proprio progetto di ricerca in modo autonomo. Un progetto di ricerca infatti prevede spesso costi in termini di apparecchiature (acquisto o affitto), costi di pubblicazione e conferenze, e ovviamente in termini di ore lavoro, per le quali e’ necessario assumere ricercatori con meno anni di esperienza il cui lavoro sarà poi supervisionato.

In molti Paesi, a questo passaggio importante corrispondono finanziamenti altrettanto importanti. Molti, ma non tutti.

Facciamo qualche esempio di fondi dedicati a ricercatori con gli stessi anni di esperienza:

Unione Europea, Starting Grants (call europea 2016:  http://ec.europa.eu/research/participants/data/ref/h2020/other/guides_for_applicants/h2020-guide16-erc-stg-cog_en.pdf ). € 1.500.000, per un periodo di 5 anni, con la possibilità di richiedere ulteriori € 500 000 per l’acquisto di macchinari specifici. Eleggibilità: dottorato di ricerca conseguito tra i 2 e 7 anni prima dell’anno di partecipazione al bando.

Germania, Sofja Kovalevskaja Award, (call 2016: https://www.humboldt-foundation.de/web/kovalevskaja-award.html): € 1.650.000, per 5 anni. Eleggibilità: dottorato di ricerca conseguito entro i 6 anni prima dell’anno di partecipazione al bando.

United Kingdom, “Investigator Awards in Science”, offerto dal Wellcome Trust (due call annuali: https://wellcome.ac.uk/funding/investigator-awards-science): : da £ 500.000 a 1.500.000, per un tempo variabile fino a 7 anni. Eleggibilità: non specificata. Durata e fondi sono solitamente proporzionali all’esperienza maturata dal ricercatore.

Italia. Programma reclutamento giovani ricercatori “Rita Levi Montalcini” 2016 (call aperta fino al 15 marzo 2017: http://attiministeriali.miur.it/anno-2016/dicembre/dm-19122016.aspx ): € 208.000, per 3 anni (ovvero 5mln di euro per 24 borse). Eleggibilità: dottorato di ricerca conseguito successivamente al 31 ottobre 2010 ed entro il 31 ottobre 2013.

Tralasciando il fatto che con 4-7 anni di esperienza PostDoc, solo in Italia si viene chiamati “giovani ricercatori”, capisco bene che se non si e’ del settore, i 70mila euro l’anno offerti dal bando italiano possono sembrare anche tanti. Facciamo quindi qualche conto.

Un assegno di ricerca minimo costa circa 20mila euro l’anno (lordi) e andrebbe utilizzato ad esempio per il primo anno di un dottorando (a suo tempo la dicitura infatti era “in formazione”). Il programma italiano quindi consente a chi vince i fondi di pagare il proprio stipendio (intorno ai 35mila, lordi) ed un assistente di ricerca full time. Restano in budget 15mila euro. L’affitto di una sessione singola in uno scanner fMRI (per citare esempi di spese che potrei dover sostenere io) puo’ costare tra i 200 e i 500 euro l’ora, a seconda delle relazioni tra ente di ricerca e ospedale. Uno studio singolo impiega di solito 25 soggetti per almeno 50 ore di scanner, in uno studio senza confronto tra condizioni. A questo costo bisogna aggiungere una retribuzione per i volontari, di solito intorno ai 10-20 euro l’ora, assumendo che non ci sia anche da includere spese aggiuntive (ad esempio, per l’impiego di un farmaco). Uno studio preliminare in fMRI, ridotto all’osso, assumendo che non sia necessario organizzare un pilota per testare il task in uso e assumendo che non ci sia nessun contrattempo (ad esempio se un soggetto scopre di essere claustrofobico, i dati non vengono raccolti, ma l’affitto si paga ugualmente), quindi costa 10500 euro. Una pubblicazione open access in media costa ormai 1500-2000 euro, per cui quello stesso studio, una volta finito e pubblicato, raggiunge un costo di 12000 euro. Rimangono 3mila euro con cui pagare ad esempio la licenza di software come Matlab, oppure l’accesso ad un server per l’analisi dati. Non ci sono fondi per una conferenza o per l’acquisto di computer su cui condurre il lavoro.

Ed ecco finito il budget annuale. Uno studio, una pubblicazione, un assegno di ricerca all’anno. Con questi strumenti si compete di fatto con i colleghi che lavorano all’estero, che sono in grado di condurre esperimenti multipli contemporaneamente, possono collaborare con altri laboratori e supervisionare il lavoro di studenti e dottorandi.

Rientro dei cervelli?

An open letter for my liberal (non-socialist) friends about Castro

It seems the death of Fidel Castro is controversial among liberals: is it allowed to praise the historical and political figure for the good reforms he brought to Cuba or shall we condemn the man for the violence used in the process and the targets of this violence?

Politically and historically, I consider Fidel Castro a peer of figures like Nelson Mandela (who was one of Castro’s friends and open admirers). This is despite the two main flaws that I have read these days are associated with the Cuban: namely, the persecution of minorities, and in particular the LGBTQ+ community, and the oppressive authoritarianism that prevented the development of a democracy in Cuba. Both accusations simply mean Castro’s government has denied fundamental human rights in Cuba.

The first accusation mainly concerns the use of labor camps (UMAP) between 1965 and 1968. Homosexuality in general was illegal in Cuba until 1979, but the real cultural shift started in the 90s, whereas the cultural campaigns against discrimination started in the ’00s. Cuba still awaits a law that would make same-sex unions legal (neither marriage nor civil unions are allowed) and LGBTQ+ political activism has been recognised only in the late ’00s. Fidel Castro himself has been in power starting from 1961, until 2006, so he is personally responsible for the UMAP and he took full responsibility for the persecution of the LGBTQ+ community, calling it “a great injustice”. A crime it was. Yet it might be helpful to establish a comparison with contemporary laws in other countries. With very few exceptions (e.g. decriminalisation of “sodomy” in France took place immediately after the French revolution in 1791, in Italy, after unification in 1889), homosexuality (usually referred to as sodomy at the time) was considered illegal in a vast majority of countries well into the XX century. In England and Wales homosexual relations were illegal until 1967 (Scotland only joined decriminalisation in 1980, for Northern Ireland it was necessary a pronouncement of the European Court of Human Right, in 1981). In USA, sodomy was a felony in every State up until 1961, punished with imprisonment or hard labour. The first State to start the race for decriminalisation is Illinois in 1961, California will follow only in 1975. In general homosexuality was considered as mental illness in most world countries up until the 90s, when many started adapting to the WHO which removed homosexuality from the International Classification of Diseases in May 1990. Even in countries where it was formally legal, being openly homosexual would put any person at life risk. I have to mention Pasolini, poet, film director, writer, prominent intellectual figure in Italy, killed in 1975 for being communist and for being openly gay, who was also isolated by a significant part of the Italian communist party because of his sexual orientation. Still today the LGBTQ+ community is actively discriminated in many “occidental” countries. Does this make Castro’s government decision on the matter less of a crime? Of course not. But I have yet to hear somebody criticising (for instance) JF Kennedy for having allowed the incarceration and discrimination of homosexuals in the US during his presidency.

The second argument concerns the development of democracy. A fact often ignored is that Castro did not seize power immediately after the revolution. The first president in a provisional government in Cuba in 1959, after the dictator Batista was overthrown, was Manuel Urutia Lleo. Of course Castro was the head of the revolutionary army, so he was extremely influential on that government and he was planning to have an easy win at the elections, in particular thanks to very popular agrarian reforms. The situation evolved rapidly when some of the economic reforms strongly wanted by Castro and the marxist group found the opposition of part of the government which was afraid they would have caused a US intervention to protect their interests in the area. Castro then became prime minister in the provisional government and only in 1961, after the bay of pigs invasion, he took complete control and committed to a socialist state organisation, rather than a social democracy. It is easy to forget today that the cold war at the time was anything but “cold” for most of the countries involved. There were actual plans to subvert freely elected governments if the local population had dared to turn towards the non-aligned socialist, social-democratic or communist parties. I am Italian and operation Gladio comes to mind or the military junta in Greece. The equilibrium in South America was strictly controlled at least as much as it was in Europe. What would have happened to Cuba if Castro had not aligned with the USSR or had decided to give space to free elections, say, 10 years later, in the 70s? It is not absurd to imagine an argentine scenario and a “National Reorganization Process“, or a Chilean scenario with a coup followed by dictatorship, or even a Colombian scenario, with multiple factions at war for decades. Not to mention what was happening in Vietnam. Why am I sure these scenarios may have been also valid for Cuba? Because there were already plans in that sense, before and beyond the bay of pigs invasion. What about the ’80s? Reagan and the funding of terrorist organisation like the Contras still don’t speak in favour of a peaceful transition. I am not naive, I am not making the point that imperialism was just on one side, but merely stating the obvious: either Cuba had aligned on one side or it would have been crushed by the other.

I will not make it too long. I guess what I am trying to say is that I agree with those who think socialist utopias should be compared with the highest imaginable standards. We should point out the mistakes and the crimes that have been reported. Finally, I am sincerely troubled by the fact that these revolutionary figures, despite having incorporated feminism for more than 50 years, failed completely to see the crime they were perpetrating against the LGBTQ+ community.

BUT

But there is as much a lie in pretending that the whole story is limited to these crimes as much there would be in denying them. If we consider access to education, literacy levels, health access, primary care and preventive care, gender equality and women’s rights (here a full length work on the issue), the overall human development indexcommitment for social justice everywhere in the world and the fight against hunger or climate change, Cuba has much to teach to us all. This is the only country in the world meeting both the criteria for “very high human development” and and those for ecological sustainability. There is something humbling in a country that has planned to have as first export its medical doctors and medical skills and that provides assistance to anyone requires it, including US citizens when the Embargo was still fully operational. This is particularly astonishing considering the starting point of this Caribbean country with little resources, which started from a quasi-feudal economic system in the ’50s and has been significantly slowed down by the US embargo. It is not absurd to assume that, without the revolution, Cuba today would look at health, education, living and economic standards similar to those of Haiti, incidentally demonstrating that multi-party elections do not necessarily provide human rights.

Finally there is a reason why Castro is today mourned in the “south” of the world. That “third world” that has struggled for the best part of the last 100 years to get it’s own independence. Countries who paid their attempts to freely govern themselves with brutal wars, mass murders, torture, incarcerations and ethnic cleansing. This is the same reason why Mandela admired Castro: he represented a victorious attempt and by this mean, he represented hope. He was living proof that, against all the odds, a small group of determined rebels, winning the support of the general population in the farms and the factories, could overpower colonialist and imperialist interests and the greed of rich and powerful multinational corporations. This hope resonated in south America as much as in Africa, where Cuban military trainers helped insurgents against the European and South African (before the end of the apartheid) colonialist aggression.

The powerful message that elsewhere has been stopped by killing the figure representing it (think about the very different and commonly tragic end of Guevara, Sankara, Lumumba or Allende), has been this time only stopped by age.

I cannot but hope for better political figures to admire for the XXI century, but I won’t deny the past ones their merits.

 

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From left to right: Romano Prodi, Fidel Castro, Nelson  Mandela, Fernando Hernique Cardoso (photo shot in 1998)

Elections USA: popular vote, rust belt and the Californian Effect

First things first, I have written another couple of posts in this blog in which I was explaining why I was sure Trump could not win the elections in USA. In a few words I thought that he was going to be perceived as so damaging for the economy, that by the day of the elections the many economic powerhouses in the US would have all supported Clinton. My reasoning was that populism as we are experiencing in Europe would have also been tamed at least in part thanks to Obama’s policies, which have not granted redistribution (he did not have the majority at the House to be fair) but they still are far better when compared with the austerity measures that have characterised the EU since the crisis in 2008. Well, I was wrong, so I need to cope with the results. One way I have been taught in Italy, is to analyse the data. If interested, you can download the raw data I collected from wikipedia on the elections from 2000 to 2016, HERE.

I have updated post a couple of times, with new images and data, to include results variation after they have become available. Last update, December 1st 2016.

The overall turnout (54%, 135.7 mln ballots) started circulating almost immediately, jointly with it the result of the “popular vote” which gave initially a small margin in favour of Clinton (initially estimated at 200’000, it is now close to 2.5 million). Despite a contained loss of votes in comparison with Obama 2012 (around 1 mln), she ended up losing the elections anyway. Possibly due to the initial results, which gave an estimated difference close to 5 mln votes in the comparison between Clinton 2016 and Obama 2012, many jumped to the conclusion that the election was lost either due to her being unable to attract voters or due to the usual “liberals” who decided to screw the world not showing up for the elections or voting for third parties. Bernie Sanders voters, millennials, somebody has to be blamed:

voteoverall2016

It is of course an oversimplification of what actually happened. First of all it turns out the turn out (!) is not as low as it might be considered when comparing the result with the elections involving Obama. Let’s go back a few more year and we see something different: the average across all candidates is 60.5 mln (median at 61.5) with Clinton above the average, and Bush 2000 as negative outlier. In a few words, Clinton is on the high end of the amount of votes you would expect from a winner of the presidential elections since year 2000.

voteoverall2016b

Where is the problem? The distribution of the votes in USA is much more important than the total number. Clinton might have had ten millions votes more than Trump and she could still be defeated, if those votes were all coming from States she has won. This is why the total number of ballots is little informative and we can have a better grasp of what happened in a State by State comparison:

votestatebystate2016

Initially this article pointed out that California, NY and WA, which were all won anyway, were responsible for most of the loss of votes in the comparison between Clinton 2016 and Obama 2012. Initial data pointed towards a combined loss of around 3 mln votes in these three States, making up most of the supposed 5 mln votes of difference with Obama (thus the “California effect” in the title, since it looked like Clinton was 2 mln votes “short” in California alone, in comparison with Obama). As you can see in the chart above, this is not really the case, as it was simply an effect of delayed ballot counting (why does it take so much time anyway?). Actually, Clinton managed to get more votes than Obama in California (+0.7 mln), Florida (+0.25 mln) and Texas (+0.55 mln).

Trump on the other side gained 1.25 mln votes in total (across all States) in comparison with Romney 2012, with the only significant negative comparison in California (-0.5 mln), which means that he has lost votes where it doesn’t hurt and he has gained in those States that required it in order to win the election. Among these, Florida (+0.45 mln) was a key one, since Trump would have lost the State should he have received the same ballots received by Romney in 2012. Yet, many argue the key of the election is elsewhere.

Before the elections, Michael Moore wrote a list of five reasons to explain why Trump could win the elections. The first point concerns the so called rust-belt: Pennsylvania, West Virginia, Ohio, Indiana, Michigan, Illinois, Iowa, and Wisconsin. is the industrialised area of the US where coal mines, steel production and car manufacturing has been damaged by ’90 liberalism and the competition that has pushed down salaries or triggered outsourcing. The chart for these states is basically self explanatory:

rust_belt

The eight states are represented in alphabetical order: Illinois, Indiana, Iowa , Michigan, Ohio , Pennsylvania, West Virginia, Wisconsin. Red bars represent the votes for the republican party in a comparison between Trump 2016 and Romney 2012. The blue bars represent the votes for the democratic party, in a comparison between Clinton 2016 and Obama 2012. Of these eight, Iowa (bar n. 3), Michigan (4), Ohio (5) , Pennsylvania (6), and Wisconsin (8) “changed colour” this year. So it is true Clinton did not manage to keep the democratic voters losing 1.53 mln votes in the eight States. Unfortunately it is also true that Trump managed to increase votes in comparison with Romney, gaining 0.8 mln in the same region. The result on these States implies some voters may have actually changed party. Honestly, I don’t see that as very likely: these might simply be new voters for Trump and lower turnout for Clinton. In any of these cases, considering the result, the next elections will see candidates that will try the same path as Trump, at the local or at the national level (a few weeks after writing this article, some extra data have been analysed by Slate, focusing on voters making $50000 per year or less).

It is difficult to establish a single cause for Clinton decrease and Trump success in these states. It is probably an effect of multiple converging factors. Among these, those highlighted by Micheal Moore are very likely to have played an important role. Probably, it is also necessary to add old fashion racism to the equation, So that the rural (white) America, which felt the loss of power with Obama (I am thinking north Florida), plus the impoverished (white) middle class (rust belt) screwed it up for everybody else. One last consideration for this specific elections: considering the small amount of votes that made the difference in so few states, I would be happy to blame the FBI as well. This hypothesis is also supported by the data showing the undecided voters who made up their minds in the last week, were mostly in favour of Trump.

PS this is also meant as a response to an article by an Italian Blogger I often read and appreciate.

Referendum Costituzionale 4 dicembre. Voto NO

I motivi del mio voto NO al referendum Costituzionale del 4 dicembre li appunto qui in tre pillole.
  1. Le modifiche proposte sono pasticciate e poco chiare (qui un confronto tra Costituzione attuale e Costituzione post-riforma: le modifiche all’articolo 70 sono ormai famose, ma non sono le uniche). In particolare, modificando le funzioni di Camera e Senato con percorsi legislativi multipli non ben definiti, si rischia di compromettere la capacità di legiferare del Parlamento senza che questo rischio sia bilanciato da alcun vantaggio di natura pratica o teorica. Anche il tentativo di ottenere un premierato forte mi spaventa poco, proprio a causa della intrinseca confusione con cui è scritta la riforma. Paradossalmente questa costituirebbe una protezione parziale in scenari probabili di combinato con legge elettorale distorsiva della rappresentanza, come l’Italicum. La Costituzione deve prendere in considerazione l’eventualità di futuri governi populisti in Italia, una difesa derivata dalla confusione non sarebbe affatto ottimale, ma mi pare permetta di mettere in secondo piano il problema delle derive autoritarie.
  2. I problemi economici e sociali italiani sono tutti di natura politica e non istituzionale. Cercare di risolverli con una modifica dell’assetto istituzionale è formalmente sbagliato, oltre che necessariamente fallimentare.
  3. Anche se nel merito la riforma fosse valida (e per i due punti precedenti non lo è), il metodo con cui è stata proposta è complessivamente deleterio per la coesione sociale. La maggioranza ha imposto la riforma sulla base di accordi interni, ignorando la ricerca di un accordo con le opposizioni o con la cosiddetta società civile, entrambe sarebbero state necessarie non trattandosi di una semplice legge ordinaria. A peggiorare le cose, il Parlamento che ha votato favorevolmente la riforma a maggioranza è tecnicamente delegittimato in quanto eletto con legge elettorale dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale. Anche qui, non trattandosi di legge ordinaria, la modalità con cui è costituita la rappresentanza del popolo nel Parlamento deve essere tenuta in considerazione. Esempi recenti di tentativi di modifiche costituzionali compiute a maggioranza (penso ad Egitto e Turchia) avrebbero dovuto far riflettere.

Tre punti semplici che mi spingeranno a votare NO da emigrato, avendo a cuore il futuro del mio odiato/amato Paese.

Tutto ciò premesso, non disprezzo o insulto chi deciderà (sbagliando) di votare SI, spinta/o da valutazioni diverse. Mi fanno invece incazzare i tifosi di entrambe le parti, quelli che riducono un fatto cosi rilevante come la modifica della Carta Costituzionale ad una gara di purezza propria e tossicità altrui. Il problema non sono le emozioni o l’aggressività in sé, ma una scelta ideologica di fondo. La sinistra deve formare il popolo e fornire strumenti volti a scelte ragionate, anche emotive e aggressive, ma mai irrazionali o personalistiche e soprattutto mai basate su atti di fiducia verso un capo. Lo sfruttamento delle reazioni “di pancia” e della rabbia sociale cieca contro una fazione “altra”, vista come inquinante della società, è tipico della destra populista o cosiddetta sociale. A questa destra si porta acqua con una campagna da tifosi, a prescindere dalle intenzioni.

PS per concludere, qui un vademecum più ragionato, ma comunque molto semplice, realizzato da Libertà e Giustizia: http://www.libertaegiustizia.it/2016/07/01/y/

costituzioneitaliana

Trump è un Berlusconi, gli USA non sono l’Italia

Le somiglianza ideale dei percorsi e dei personaggi politico-mediatici che caratterizzano Trump e Berlusconi sono state evidenziate sin dalla “discesa in campo“, durante la corsa per le primarie e più di una volta e da testate diverse anche non particolarmente schierate o apertamente conservatrici (anche Stille sin dal 2015, qui in traduzione).

Scovare similitudini non richiede un esercizio particolarmente raffinato dell’immaginazione. Berlusconi e Trump sono entrambi egomaniaci, refrattari al rispetto delle leggi e delle regole, si vantano di aver evaso le tasse (vedi: Trump o Berlusconi) e pianificano leggi per eluderle con maggiore facilita’, hanno un’idea della donna come elemento decorativo e di “conquista”, fanno appello alle emozioni più basse della popolazione, indicano in capri espiatori le cause di problemi strutturali come la disoccupazione, costruiscono sulla paura del diverso, accolgono senza rimorsi i voti dei fascisti (white supremacists/KKK in USA), soffrono di un razzismo perlomeno latente, sostengono di essere in grado di governare in virtù della -in verità scadente- esperienza di costruttori e investitori in real-estates, mentono senza ritegno e si contraddicono in continuazione senza provare vergogna o senza rendersene conto ecc. ecc. ecc. Anche le battute che fanno sono dello stesso genere (ignobili).

La differenza non e’ quindi nella tipologia di personaggio, ma nella risposta che il rispettivo Paese dà a questo genere di personaggi. In particolare e’ interessante la risposta che la destra conservatrice e liberista, quella dei “poteri forti”, ha dato in Italia e sta dando in USA.

In Italia la destra abbracciò Berlusconi come un salvatore, gli imprenditori lo riconobbero come uno dei loro, che avrebbe eliminato vincoli (i famosi “lacci e lacciuoli”) e fondamentalmente permesso a tutti di evadere il fisco. La mancanza tanto di un “senso dello Stato” quanto di un progetto di sviluppo per il Paese non preoccupò il nostro gruppo dirigente pubblico o privato/industriale. Confindustria sosteneva Berlusconi perché in fondo contava in una convergenza naturale di interessi o al più di poterlo controllare e così strappare eliminazione delle tutele dei lavoratori, riduzione delle tasse e liberismo senza vincoli. È stato necessario passare attraverso anni di governo prima che la leadership industriale cominciasse ad accorgersi che non solo non fosse possibile controllarlo, ma di come Berlusconi fosse interessato unicamente a favorire i propri affari e soddisfare la propria egomania, anche a costo di danneggiare l’intero Paese.

In USA la risposta della destra conservatrice è molto più ostile. In parte c’è il riconoscimento di valori diversi: Trump è un avventurista di NY che ha costruito la propria fortuna anche sfruttando a proprio vantaggio lacune e loopholes che gli consentivano di massimizzare il proprio guadagno a spese della comunità. Chi esce da una tradizione liberale (non liberal) americana o conservatrice di origine central o mid-west non lo riconosce come suo portavoce. Ma secondo me c’e’ anche qualcosa in più: una parte consistente dei poteri forti americani ha riconosciuto in Trump un pericolo proprio per la sua completa incapacità di mostrare un progetto di sviluppo del Paese e per la manifesta incapacità che avrebbe nel gestire le relazioni internazionali (che sarebbero simili a quelle tenute da Berlusconi: relazioni personali amicali e svendita degli interessi nazionali). Il ricco 1% e le corporations sono stati responsabili della deregulation, dell’aumento della disparità sociale e della concentrazione delle ricchezze nelle proprie mani a partire dagli anni 80, ovvero la lotta di classe dei ricchi contro i ceti medi e lavoratori. Tuttavia mi pare una parte di questi poteri forti sia consapevole dell’esistenza di un limite. Sono cioè in grado di riconoscere che il Governo di un Paese debba essere in grado di funzionare per poter garantire la prosecuzione del business.

In questo senso Clinton fornisce garanzie incommensurabilmente maggiori.

In fondo la conclusione di questo discorso e’ semplice: prendiamo per il culo gli americani come bifolchi perché litigano su leggi che riguardano i fucili d’assalto venduti con meno vincoli delle sigarette (non è una battuta), ma l’Italia nelle sue classi dirigenti odierne (industria, mezzi di comunicazione, associazioni ecc.) è priva anche di un utilitaristico senso dello Stato, talmente rozza e incompetente, che finisce con l’essere incapace di tutelare i propri interessi sul medio-lungo periodo.

Per finire, Trump, rispetto a Berlusconi, non ha ancora capito il vantaggio nell’avere alleati in fase di elezioni, da mettere all’angolo dopo le elezioni. Berlusconi stringeva alleanze con Lega e Alleanza Nazionale (ideologicamente agli antipodi all’epoca), mentre Trump litiga con i governatori di Stati chiave.

Vaticinio: Trump perderà.

A meno che su Clinton non riescano a trovare qualcosa di disastrosamente osceno per il pubblico americano. Tipo, un tradimento, uno scandalo sessuale…

Detto tra noi, pensavo anche che nel referendum per la Brexit avrebbe alla fine contato il peso dei cosiddetti poteri forti per il no. Alla fine questi hanno invece dimostrato di aver perso il controllo sul mostro del populismo (da loro generato). Magari è che invecchiando divento ottimista.

 

PS queste riflessioni sono nate dopo aver letto un commento di Robert Reich che seguo su Facebook. Questo:

In the 34-year history of USA TODAY, the Editorial Board has never taken sides in the presidential race. Today it broke that tradition:

“This year, one of the candidates — Republican nominee Donald Trump — is, by unanimous consensus of the Editorial Board, unfit for the presidency. From the day he declared his candidacy 15 months ago through this week’s first presidential debate, Trump has demonstrated repeatedly that he lacks the temperament, knowledge, steadiness and honesty that America needs from its presidents.”

You can read the entire scathing editorial below.

Oh, and by the way, The CINCINNATI ENQUIRER, which has supported Republicans for president for a century, has now come out against Trump and for Clinton. The DALLAS MORNING NEWS, which hasn’t recommended a Democrat for the nation’s highest office since before World War II, has now come out against Trump and for Clinton. And, as I told you yesterday, The ARIZONA REPUBLIC, which has never endorsed a Democrat over a Republican for president in 126 years, has come out against Trump and for Clinton.

If common sense any longer has any sway, Trump is toast. But does it?

Questo invece l’articolo di USA TODAY a cui Reich si riferisce.

trump_berlusconi

 

Immagini tratte dalle rispettive pagine in wikipedia.

Lexit: quando le migliori intenzioni rischiano di balcanizzare l’Europa

Sarebbe sufficiente guardare a cosa sta succedendo in UK o in Europa, per rendersi conto che il modello proposto da chi ha supportato la Lexit (Left+Exit: uscita a “sinistra” dall’Unione Europea o dalla moneta unica, a seconda di chi usi il termine) in UK è qualsiasi cosa tranne che predittivo. In UK i crimini d’odio (contro migranti e non solo) sono quintuplicati nella prima settimana post voto, Farage e l’UKIP sono passati da una progressiva marginalizzazione (un deputato eletto in parlamento) a diventare protagonisti della scena politica, i Tories vedono al momento un forte conflitto tra correnti interne in cui la destra più conservatrice e liberista sta prendendo il sopravvento e persino nel Labour è in atto un tentativo chiaramente pianificato in anticipo (e altrettanto prevedibile e previsto) di spazzare via il primo segretario con agenda social-democratica in oltre 25 anni. In Europa i nazionalismi alzano la testa, le posizioni di destra estrema vengono presentate (anche nel parlamento europeo) come uniche posizioni in grado di dare risposte alla “gente comune”, ai timori legati all’erosione della classe media, immigrazione, “crisi” rifugiati ecc. Vedremo come andrà a finire in Austria con il “re-match” per la presidenza.

Nonostante questo scenario di evidente avanzata a destra, sembra che il teorema che ha spinto la Lexit sia vivo e lotti insieme a noi. A me sembra ci siano due errori di fondo che portano ragionare su modelli e scenari futuri drammaticamente errati:

1) Si confonde un istituto con le politiche adottate da questo stesso istituto (l’Intera UE è confusa con le politiche di austerity, l’Euro con le politiche monetarie). Questa confusione svia l’attenzione dal problema al mezzo, rinunciando a cercare dei mezzi efficaci per colpire le meccaniche delle politiche conservatrici di protezione dell’economia tedesca (e blocco centrale) e come queste vadano a scapito dell’Europa periferica. Per intenderci, se uscendo dalla UE gli UK non si sono affatto liberati delle politiche conservatrici e liberiste (che hanno nella loro pancia da decenni), l’uscita dall’Euro sarebbe altrettanto una misura inadeguata a ri-bilanciare i rapporti di forza tra stati europei, con cui dovremmo comunque avere a che fare, fosse anche in modo conflittuale. La probabile guerra monetaria che ne seguirebbe interna all’Europa (sul modello ad esempio di quella che si e’ consumata a tratti tra dollaro, euro e Yuan a partire dalla crisi del 2008) che impatto potrebbe avere nella direzione di una maggiore distribuzione delle ricchezze? Ma soprattutto, una volta sdoganato il concetto che per avere un controllo sulle politiche monetarie e combattere le politiche di austerity sia necessario dividersi e frammentarsi, perché fermarsi a livello nazionale?

2) Per quanto l’euro sia stato un errore di sbilanciamento nella formazione della UE (moneta comunitaria prima che ci fosse una politica comunitaria), il problema è che a volte annullare una scelta politica semplicemente cancellando il suo effetto ultimo non ci riporta allo stato iniziale. Il CTRL+Z non sempre funziona. Tornare indietro in un processo, anche mal fatto, di aggregazione tra Paesi con storie e culture comunque ancora distanti, gruppi etnici che in vari Paesi continuano a mal sopportarsi e regioni che aspirano esplicitamente a rendersi indipendenti, è il passo più semplice per generare un processo di disgregazione privo di controllo. Soprattutto in fase di crisi politica-sociale-economica, il rischio è quello di innescare meccanismi come quelli che si vedono adesso in UK: aprire le gabbie della xenofobia e del nazionalismo, rompere delicati equilibri regionali (come probabilmente avverrà in Irlanda). Non è necessario evocare scenari terrificanti da seconda guerra mondiale, quando è sufficiente guardare agli anni ’90 e alla disgregazione in Jugoslavia, o ancor più di recente alla situazione in Ucraina, entrambe -con mille differenze- esacerbate da risultati referendari. Nazionalismi e regionalismi Europei non possono essere governati “da sinistra”: un passo in direzione nazionalista e da quel momento in poi la palla passa ai movimenti nazionalisti, che nella loro agenda, insieme all’eliminazione dell’Euro portano avanti anche un attacco violento alla libertà di movimento, unito ad aperta xenofobia.

Le politiche adottate a livello continentale che hanno causato precarizzazione, riduzione dei diritti e incremento delle diseguaglianze economiche e di accesso, possono essere affrontate solo a livello continentale. Se consideriamo per esempio il TTIP, in che relazioni potrebbe porsi uno Stato come l’Italia, da sola, posto di fronte al ricatto economico di sottostare ad un accordo vantaggioso principalmente per l’economia USA e soprattutto che permetta di aggirare i vincoli sociali, lavorativi e ambientali? Esercitando invece -ipoteticamente- il diritto di veto in UE, le dinamiche di potere sarebbero chiaramente rese differenti dalla scala di azione che questo intervento provocherebbe. Allo stesso modo come potrebbe un singolo Stato, fosse anche la Germania, resistere alle pressioni di capitali speculativi, banche d’affari, corporations che hanno una dimensione ed un campo di agire sovranazionale e una propria agenda ben stabilita? Abbiamo avuto esperienza in Italia nel 2011 della pressione che possono esercitare i mercati, a prescindere dalle decisioni dei gruppi conservatori europei. Solo con l’intervento massiccio della Banca Centrale Europea si è riusciti a limitare i danni. Sono consapevole che questo intervento sia stato ritardato e depotenziato dai governi conservatori del blocco centrale europeo, ma il punto è proprio questo: l’istituzione in se’ sarebbe potuta intervenire prima e meglio, per cui può essere utilizzata per portare avanti politiche di stampo radicalmente diverso.

Stesso discorso vale, ad esempio, per la crisi greca e conseguente crisi bancaria europea. In quel caso la BCE ha aperto alla possibilità di fare prestiti a tasso ridotto (1%), rivolti alle banche private. Queste hanno poi usato i fondi ottenuti a tassi agevolati per comprare Bond statali a tassi superiori (7% o più) da Grecia e Italia in modo particolare. I Bond tedeschi sono scesi sotto zero e le banche tedesche e francesi (italiane in misura minore) hanno in pratica usato i fondi europei (di tutti) per trasferire capitale dalla periferia (Grecia e Italia) soprattutto verso la il blocco centrale. Intervenendo direttamente sui Bond statali si sarebbe risparmiato in termini complessivi e si sarebbe contenuta la spesa successiva in interessi da parte degli Stati periferici. Tutto questo prescinde dall’euro: è un frutto di scelte politiche e ideologiche che si stanno scontrando a livello continentale. Se non siamo capaci di affrontare queste scelte politiche all’interno di un assetto continentale, per quanto sia difficile, possiamo anche arrenderci all’esistente. Sarebbe comunque più gestibile della alternativa ipotizzata, ovvero di alimentare le pulsioni nazionaliste in periodo di crisi.

Lexit

BREXIT – Ain’t No Sunshine When She’s Gone

Brexit_bannerYes, the UK has been a damaging force in the EU in the past couple of decades. The concept of the EU as solely (or mainly) a trade agreement has spread as a cancer and has in the UK one of the most active supporters. Furthermore, the UK has continuously complained for the troubles created by the rule of unanimous decisions, but has eagerly exploited the same rule to protect its interests, against the common interests of the entire Union (think about the regulation of finance).

Yet, the risk of spiralling down and destroy the EU is too high.

In a normal condition, before the crisis, the idea of destroying this egoistic, marketist, cruel and conservative-minded EU might also have seemed appealing. But let’s be honest. The damage to the society the left is correctly pointing out is caused by the strength of the capital, the class warfare carried out by the rich and the corporations, with the EU as an intermediary which for a while even slowed down this course of action (labour is still protected in the EU zone way more than it is in the US!). Pushing for the collapse of the EU today would not make these problems magically disappear. We would find ourself without the only tool that -despite being used today against us, the people- we could effectively use in our favour, if we started joining our forces across the borders.

These are interesting and dangerous times and the path we take in these years is going to affect the next decades. It is not impossible for the entire continent to go backwards and find itself again in a thirties-like scenario. History does repeat itself. So we have to pick a side, forget fear, and root for internationalism, the only way forward.

PS these I am sharing are Wolfgang Tillmans’ posters.

PPS I am aware this short post has a continental perspective. Here a nice list of good reasons for the leftist brits to vote STAY. https://www.byline.com/column/11/article/1062

 

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USA 2016: a four-player game in a two party system.

On April 24th I was in New Haven (CT), visiting a friend in Yale. She was kind enough to give me a tour of the odd “Oxbridge” architecture characterising many of the buildings of the University, to kill some time. We were waiting to attend a much anticipated rally of the Sanders Campaign. The bad results of New York behind us, five new States (including Connecticut) ahead.

My estimate is that there were something short of 10’000 people. Number then circulated was 14’000 (it seems the habit to pump up numbers a bit is valid everywhere), which apparently is a record for the city in the past 30 years. Incidentally, the panorama photo I have shot granted me my most shared and liked tweet ever… and of course it happened with a Tweet showing a misspelled “rally”, which freaked out my mild OCD side.

Now for the interesting things.

The speech was what we expected: a well tested repertoire with the right pauses for cheers and claps and an extra punch well targeted against the insanity of having one of the most prestigious (and rich) university in the world few hundred meters (some more yards) away from neighbours where kids cannot afford to go to school. By the end of the speech, though, there was something different, that I did not recognise from previous speeches and TV debates. Sanders was and still is climbing a hill: simple math is against him and chances were already very slim that he could actually win the contest for the pledged delegates. So towards the end (minute 52:30 in the video below) he goes on a series of examples to prove that “Real change always takes place from the bottom up”.

And it takes a lot of time. Civil rights movement, women’s movement, the fight for the abolition of child labour, better work conditions etc. they all required organization, time and… conflict. Bernie himself has been arrested in the ’60s, so he is not talking metaphors, and this is not just a rhetoric point. Well done comrade!

But, wait, is he talking about a social movement or the agenda of a structured and established political party? Is he planning to move the Democratic party to the left or does he hope to direct the energy of his campaign beyond the borders of the democratic party? For once I will be incredibly optimistic and the main reason is…

Bathrooms bills!

Yes, this is currently part of the debate in the US (let me know where you are from and we can easily find the local equivalent, these are fantastic times… if you are Italian, don’t bother, it’s too easy). Tea party, theocon and similar strange, (non-)imaginary scary monsters, live the delusion that the majority of people in their country is really interested in discussing exchanges of fluids during sex and release of fluids in bathrooms. What’s more, the delusion states God the all mighty is very interested and has a whole set of special rules that dictate how to exchange fluids during sex and how to release fluids in bathroom. He (she) really gets pissed off if you don’t impose this particular set of rules to everyone! If I am not mistaken, this interest really started with Bush (“What would Jesus do?” Bomb brown people, apparently) and escalated with Sarah Palin in 2008 (yes, well done, McCain!). The North Carolina affair is going on well, but it is the series of “incidents” like this one (Georgia and Mississipi come to mind) that is really telling us the sad story of a party that is breaking apart. On one side religious fundamentalists, on the other side the Neoliberalism fundamentalists: our first two players in the quartet.

Jack D. Ripper (Sterling Hayden)

Jack D. Ripper (Sterling Hayden)

These two have some serious problems when they try to be together. It is not a matter of conflict of ideology. Of course neoliberalalism has its own set of imaginary rules (defined by an invisible hand rather than a divine entity) that defy empirical data and require pure faith to be trusted. Nonetheless, the problem is of pragmatic coexistence: the delusional set of fluid-rules dictated by God is bad for business. Let’s face it, if the Republican Party becomes bad for business and corporations, then it doesn’t really have that many purposes left in life, does it? From the point of view of the capital, pressing the agenda (or avoiding step-backs) of the civil right movements is not a problem. As long as you are not asking a decent salary, sick and maternity leave and of course as long as you don’t really ask any of them to pay fair taxes, you can have all the civil rights you want!

The remaining two players

This scenario makes of the democratic party the privileged speaker of the big interests in the US. They still mean business, Obama showed they are not shy in stepping in with trillions of dollars to protect the system from its constant suicidal attempts (I’d go again with the collapse of the GM example, but to avoid repeating myself I will also add this time the $831 billions of economic stimulus approved for the period 2009-2019) and they are very keen in sponsoring international treaties (NAFTA, TTIP) which are for the big money eyes only (no, they are not beneficial for the workers, let’s be serious, Hillary!). Fair enough, some reforms are not really appreciated: the democrats can also express social concerns and force a few constraints on labour and to “protect the environment” (even NATO is now in the very long list of those baffled by the stupidity of climate change deniers: see RESOLUTION 427). The republicans might also promise to reach a no tax zone for whoever is rich, but if you can’t sell you products/services, the perspective on taxes and freedom to pollute or to have disposable employees loses part of its appeal.

Privileged relation with the corporations, weakness of the Republican Party… let’s add the changing demographics and we have a Democratic Party doomed to win again and again in the near future, carrying on with the same agenda we have seen applied in the past 7 years. Everything seems fine, if not for the damn’ increased social inequality.

Distribution of income today in the US is worse than it was in 1774, under the magnanimous, socialist-democrat, King George III.

First time I have read this I also thought it sounded like a joke, but the data clearly show it is brutal realityGeneral rule for the past 150 years, when the system smashes workers and middle class, the political reaction will pop out either from the radical left or from the populist right. This is the reason why Trump has had a clean path towards victory against both the players just described in the Republican Party. If you are losing your job or even worse, if you are stuck in a minimum wage job, with no chances to increase your social status and good chances to get worse, you don’t have time to waste to fight acquired equal rights and passed bathroom bills! Nor you really appreciate people selling the idea that more money to the rich is going to make your life better when you work for $7.5 per hour and have the certainty of being fired as soon as you get a flu. There is no possible compromise, mediation or middle ground because awry conditions call for enemies. Either you find your enemy in the system -the way it works and it is structured- and you try to change it with the tools you have at hand, or you think the system is fine and it is somebody’s fault it doesn’t work, so you need to expel the alien element, the scapegoat that has been pointed out for you. In Europe the second option is very popular at the moment and even worse, we lack a continental path leading to the first. When a single EU country tries to deal with the system and its brutal inequities, via passing laws (or even just conceiving laws) that might result in some forms of redistribution programs or increased state intervention and spending, it is condemned to fail. A single country clashing against continental powers in the EU has its equivalent in a hypothetical Bernie Sanders trying to pass his reforms of social justice in just one State in the US. Not going to work.

Good news for the US, Bernie is indeed a National phenomenon and it seems he might really be moulding the politics of the whole nation for years to come. To do so, he is working on the social divide in the democratic party, but he still needs time, a detailed political agenda (the one he has now is simple and conceived to be good for campaigning) and a long term strategy. So for the moment he cannot stop his campaign for the primaries and the spotlight attached to it, even if the numbers are against him.

1. They say he’s draining resources form Hillary’s campaign that should be used against Trump. But he’s continuing to mobilize and energize voters about the most important issue in this election – the increasing concentration of income, wealth, and political power at the top, and why it’s harming our economy and democracy. If the Democratic Party stands for anything, it should be to reverse this trend.
2. They say he doesn’t have a chance of winning the nomination. But he’s on a roll. He’s won 18 primaries, including West Virginia this week and Indiana last week, and has a good chance of taking Oregon and Kentucky next week, and perhaps even California June 7. Independent voters are flocking to him, and independents will be the single largest force in the general election. Besides, a big reason why she’s got so many delegates is she’s rounded up so many Democratic-insider superdelegates.
3. They say he’s forcing Hillary to spend time in primary states rather in battlegrounds that will decide the general election. But isn’t this why we have primaries – so that voters can have a choice of primary candidates? As long as Bernie has any chance at all, it’s his right and obligation to fight on.

Robert Reich

Epilogue: the best case scenario (wild dreams)

Clinton should understand she is not going to get easily the vote of all Bernie’s supporters. She represents different interests. Of course Trump is much worse than Clinton, especially for the US (Clinton’s foreign policy is quite bad, but nobody -not even Trump- knows Trump’s ideas on that side), but this simple truth will not make the case of West Virginia disappear or even become an isolated one.

Still, Hillary Clinton is the likely winner in the predicted scenario of a “contentious convention”, and it would be disastrous if Bernie’s supporters really opted for breaking with Hillary (the “independent radical movement” option). The left of the democratic party is not yet organised nor it has established roots somewhere or in any specific work field (e.g. unions): the main risk the left has to avoid relies in its volatility. The left has to establish itself following the example of the teo-con, and avoiding becoming a personalised movement, if it aspires to endure the inevitable decline of appealing of Senator Bernie Sanders.

Hence, the most rational path is to force Clinton to take a clear position on issues that matter to the left agenda (I know, easier to say than to succeed) and point out when she will step out of the social justice and/or environmentalist path. Meanwhile the real challenge is to organise, win future elections for senators and governors, build a new establishment. Only then, it would make sense to try to take over the party via primaries (4/8 years from now?) or maybe break it, an option which probably doesn’t suit the american system, as much as it does the -continental- European left, but… times they are changing.

That’s it: my whole 2 cents. All considered, it is a good time to be an activist: a lot of space and risks to take.

PS Here is the whole video of the rally in New Haven, if you are curious.

Two extra links that make interesting reading on the issue:

http://www.newyorker.com/news/daily-comment/the-ideological-operational-divide-in-the-g-o-p

http://www.newyorker.com/magazine/2016/03/21/bernie-hillary-and-the-new-democratic-party

April 24 2016 New Haven Connecticut

Sanders rally, April 24 2016
New Haven Connecticut

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