Like an auto accident, you can’t keep your eyes off it
Come un incidente stradale, non puoi smettere di guardare
John Giorno
Premessa inutile
Quando si scrive una cronaca occorre scrivere a caldo principalmente per due motivi:
1) perché dopo un po’ si tende a ricostruire i ricordi, dando un filo logico ed un senso o una spiegazione a fatti che non necessariamente hanno una razionalità esplicita (vedi: geneaologia della storia. Un luogo in cui si è già stati).
2) perché il calcolo ci mette lo zampino e rovina la parresia. Un principio che non necessariamente deve essere inteso in senso negativo: si può voler rafforzare un processo positivo nascondendone gli aspetti negativi, ma alla lunga così facendo mi pare si corra il rischio di ottenere l’effetto opposto.
A parte ciò, se qualcuno si è preso la briga di leggere andando oltre termini come “genealogia”, e”parresia”, (e correndo il rischio di trovarsi davanti anche “ontologico”, “epistemico” o “olistico”), vuol dire che difficilmente sarà spaventato dalla amara realtà.
Certo, poi ci si mette di mezzo il lavoro… e ho finito con lo scrivere dopo un paio di giorni.
Atto I – dove si spiega cosa sia successo, ma non perché
Finito il periodo di campagna elettorale con le dovute sconfitte elettorali, ad inizio aprile si decide di iniziare l’assemblea del partito a livello provinciale (Roma) con una analisi del voto. Ottimo: i flussi elettorali, dati alla mano, vengono sviscerati ed analizzati, il tutto alla ricerca del colpevole con l’arma in pugno. Che le elezioni siano state perse per una semplice questione matematica (gli “altri” hanno preso più voti) in effetti ci dice poco perché il fenomeno può essere ottenuto in molti modi diversi. Per farla breve, il problema non è stato un spostamento del voto (qualcuno che, avendo votato per il centro-sinistra, avrebbe poi deciso dopo 5 anni di votare per la destra), ma l’astensione non uniforme (ovvero in molti, soprattutto tra gli elettori di centro-sinistra, si sono astenuti dal voto).
Dato tangibile: numeri alla mano, riscontrabile oggettivamente. Il centro-sinistra perde più elettori di quanti non ne perda la destra. Quindi, in una condizione di partenza di sostanziale parità, la destra vince. Amen.
Atto II – dove dovvero non si riesce a spiegare perché
Da questo dato di partenza purtroppo non è possibile ricavare in modo lineare né le cause del fenomeno (personali, collettive, accidentali, strutturali… abbiamo solo prove indiziarie), né le modalità che ci possano permettere di invertire la tendenza, cosa che a sua volta può significare: 1) riportare gli elettori alle urne; oppure 2) spostare da una coalizione all’altra il voto di quelli che ancora si dedicano a tale esercizio.
Con buona pace di chi ha dedicato qualche decina d’anni alla logica modale, questa condizione resta l’incubo dello scienziato determinista: non ci sono operatori che possano descrivere in modo sicuro quello che avviene e soprattutto, quello che sarebbe avvenuto SE… Che sarebbe successo se ci fosse stato un altro candidato presidente di regione? Cosa sarebbe successo se la coalizione fosse stata unita? Cosa sarebbe successo se il sistema di informazioni non fosse stato sotto pesante controllo? L’esperimento è singolare, unico, non ripetibile (con buona pace di tutti noi, tra cinque anni la situazione sarà comunque almeno un po’ diversa).
La patria dell’illazione, appunto. Spesso sostenuta dalla sola voce e credenza di chi la sostiene, senza l’ombra di un dubbio apparente. Due incontri consecutivi su questi due temi: cause del fenomeno e come uscirne.
Atto III – la trama non decolla
Quello che si impara dopo una decina di ore passate a discutere di questi argomenti (anche se in più di un appuntamento) è riassumibile in poche frasi:
1) leggi la citazione in testa a questo articolo;
2) basta poco per entrare nel tunnel e cominciare a prender parte alla giostra dell’illazione (non senza un certo divertimento sado-masochista);
3) una volta entrati nel tunnel non si ha più un’idea di cosa sia un bene strumentale e quale sia la differenza tra questo ed un bene finale.
La china si risale in senso inverso: un partito ed i voti (la fiducia) a cui questo partito aspira, sono entrambi beni strumentali: servono come strumento per raggiungere un bene finale. Quale? Semplificando, la trasformazione della società (che, sia detto per inciso, in questo momento sta andando in vacca). Riflettevo tra me assaporando il momento in cui avrei parlato in assemblea regionale per comunicare queste che mi sembravano grandi verità ignorate da tutti e aspettavo quindi con un po’ di impazienza la terza assemblea (in cui sono finito dato che mi sono iscritto a parlare piuttosto tardi). Nella lunga attesa, ho modo di ascoltare Nichi Vendola dire nelle sue apparizioni in TV molte delle cose sulle quali stavo rimuginando, meglio di come stavo immaginando di fare io. Parlo anche con alcuni compagni e scopro di non avere pensieri poi così originali: da un lato è una cosa positiva, ma dall’altro, se la si pensa così, di che stiamo parlando?
Quando finalmente la convocazione arriva, la fonte è atipica: un membro del direttivo nazionale (Francesco “Ciccio” Ferrara per la cronaca).
Atto IV – il colpo di scena
E’ così che si scopre che tutto ciò di cui avevamo parlato fino a quel momento non era che una parte del vero dibattito che animava SEL – Lazio: la parte esplicita. Forse non la parte ritenuta meno importante, ma decisamente quella che suscitava meno interesse negli iscritti. Arrivando al dunque: l’arbitro spedito dal direttivo nazionale ci spiega rapidamente quanto siamo stati capaci di far degenerare ed incancrenire l’organizzaione del partito nel Lazio e a Roma in particolare, fino a sfiorare il ridicolo. Non siamo riusciti ad eleggere un portavoce o un coordinamento in svariati mesi e siamo incapaci di indire una assemblea che svolga questo ruolo senza la presenza di un esterno!?
Per quale motivo tutto questo? Scontro sugli obiettivi? Sulle metodologie di lotta? Sulle priorità di intervento? Magari! Lo scontro è su chi ha diritto di voto nell’assemblea e chi non lo ha. Non so se avete mai partecipato ad una assemblea in cui si discute se i presenti sono o meno legittimati a votare: a me è capitato diverse volte durante le varie agitazioni nel periodo del liceo e durante l’università. Ho sempre trovato la cosa ridicola. Adesso so che non era cosa rara.
Atto V – il surreale e l’osceno
Seguono qualcosa come 3 ore abbondanti (dalle 17:30, fino alle 21:00) di dibattito interno sul solo argomento “chi può votare e chi deve essere escluso”, con qualche intermezzo sul genere “basta parlare solo di noi stessi”, in cui si parla comunque solo di noi stessi (come, per essere onesti, sto facendo io adesso). La pietra dello scandalo: i cosidetti delegati di diritto. Ovvero un gruppo di 18 iscritti che, per il loro ruolo svolto nel passatto all’interno di uno dei gruppi fondatori, hanno avuto diritto di voto nelle assemblee precedenti. Gruppo cresciuto fino a raggiungere i 48 membri, per bilanciare i valori di voto delle rispettive componenti originarie e poi sceso a 10 membri in quest’ultima votazione, dopo aver tolto i 30 abusivi (che nessuno sa chi abbia aggiunto… o meglio chi lo sa, non ne vuole parlare) e 8 degli originali 18 perchè rivestono incarichi nel nazionale. Sempre per la cronaca gli “altri” delegati, quelli non di diritto, sono 50.
Ore 17:30: relazione di Ciccio Ferrara, con proposta di metodologia di voto.
Ore 21:30: inizio votazioni con metodologia identica a quella proposta all’inizio.
Il tutto per un ruolo che durerà circa 3 mesi, dato che poi per il congresso (ottobre) si vanno a rinominare delegati, portavoce e coordinamento.
Questa la parte surreale. Poi c’è l’osceno.
Quando si presenta Marco Furrfaro, candidato a diventare portavoce regionale, prova a fare un breve discorso per presentare se stesso e le proprie idee, parlando di un caso esemplificativo di morte bianca per indicare nel lavoro (in relazione a sicurezza e precarietà) un tema che ritiene centrale per SEL. La sensazione in sala è che non avrebbe potuto fregare di meno alla maggior parte dei presenti: buona parte presi -comunque e sempre- dal problema di chi deve votare.
Quando si formarono a ottobre scorso le commissioni per il regolamento e quella per il programma, sentii dire di sfuggita a qualcuno del direttivo, una “veterana” della politica (direi il nome, se mi ricordassi distintamente chi fosse) che la prima era l’unica a contare qualcosa. Mi è rimasto impresso perché la sola ipotesi che tra regolamento e programma sia più importante il primo, continua anche oggi a sembrarmi folle. Anche se adesso capisco in che contesto si collochi questa idea.
Epiologo
Mi restano delle domande retoriche e un invito:
1) la forma assembleare (fatta così) a che serve? Si entra con una idea, si esce con la stessa idea. Non c’è vera interlocuzione, non c’è crescita, il confronto è scarso e spesso si ha paura del voto; gli accordi su idee, progetti e persone vengono raggiunti prima di iniziare l’assemblea. In questo caso alla fine ci è andata anche bene, dato che Marco e almeno un membro del coordinamento (Ylenia, l’unica che conosco, per questo dico “almeno uno”), sono delle ottime persone a cui non affiderei niente di meno, ma la domanda resta. Io non sono innamorato della forma, ma se questa è un paravento, mi sento anche preso per il culo.
2) Perché SEL poggia così insistentemente su contesti opachi? Questi contesti che permettono o forse incentivano le decisioni sottobanco, le liti personali, che alla luce del sole sarebbero molto meno, per chiara consapevolezza della loro stupidità. L’organizzazione, il soggetto politico, di certo non ne trae vantaggio, ma alcuni dei suoi membri pensano forse di poterne trarre per sé stessi. Un’ottica miope che parassita e distrugge la stessa entità che ne permette la vita.
Sarà un caso, ma più aumento la mia militanza, più mi radicalizzo intorno ad un nocciolo ristretto di pensieri minimi: prima chiedevo percorsi di uscita dalla crisi, politiche di inclusione per i migranti, la rivalutazione della scuola e della sua funzione nel permettere la mobilità sociale, lo sviluppo sostenibile, la ricostruzione di uno scenario sociale frantumato, il ribaltamento della logica di potere.
Adesso chiedo trasparenza, chiarezza, esplicitazione, responsabilità, identificazione del chi, dove, come e con che obiettivi in quali tempi, perché altrimenti quei temi precedenti non potranno neanche essere affrontati da lontano. Di questi tempi, una rivoluzione, che chiedono in molti anche in SEL, ma che avremo difficoltà a portare avanti se saremo pochi. L’ho già detto molte volte: non è il tempo di delegare: iscrivetevi, partecipate, trasformate.
TESSERAMENTO -> http://www.sinistraeliberta.eu/tesseramento2010/
LA NOTIZIA DELL’ELEZIONE DEL PORTAVOCE – > http://www.sinistraeliberta.eu/comunicati-stampa-territori/lazio-sel-furfaro-eletto-nuovo-portavoce-regionale
5 comments
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wow Vinz, ottimo post, anche se molto deprimente… Sembra che i peggiori stereotipi e pregiudizi talvolta si rivelino veri…
Comunque il tuo (continuo) richiamo alla partecipazione è più che giusto, il problema per me (e per quelli come me) è trovare delle forme di partecipazione accessibili.
Caro Vincenzo, leggo il tuo resoconto e, ahimé, non scorgo nulla di nuovo. Anche nella breve stagione movimentista ed “extraparlamentare” le cose andavano più o meno così. Questo è forse il motivo per cui Nichi Vendola conta più sulle “fabbriche” che non sul “partito” non ancora nato, ma già con tutti i “vecchi” vizi. Bisogna essere molto sereni “dentro” per resistere (meditazione buddista/Zen possono aiutare) e, soprattutto mantenersi “liberi”, culturalmente ed economicamente per non essere mai “ricattabili”.
@Massimo: il problema dell’inclusione è della partecipazione deve diventare una ossessione per chi sta già dentro il partito. Ti assicuro che in molti si pongono il tuo stesso quesito da tempo: al momento l’unica cosa che mi viene in mente è il potenziamento delle forme di comunicazione via rete, ma il questo approccio taglierebbe fuori molta gente (il digital divide è una amara realtà).
@margherita: appartengo ad una generazione che è ricattabile di default, in ogni contesto lavorativo. La realtà purtroppo è questa.
“Adesso chiedo trasparenza, chiarezza, esplicitazione, responsabilità, identificazione del chi, dove, come e con che obiettivi in quali tempi”
Caro Vincenzo, benvenuto nella democrazia. Lo dico davvero senza nessuna ironia, e dico della democrazia perché sono convinto che le politiche inclusive, le trasformazioni della società di cui parliamo (insomma le cose che “chiedevi prima”) o sono un’impresa collettiva o non sono. Per la tradizione politica della sinistra e delle sue organizzazioni democrazia e conquiste sociali sono sempre andate di pari passo, tanto che le seconde sono impensabili senza la prima: forma e sostanza sono un sinolo inscindibile, come si dice in certi ambienti. Resta da dire cos’è la democrazia e come si forma la volontà collettiva. Al riguardo solo due osservazioni: 1. credo che si possa convenire sul punto che avremmo difficoltà a definire democratica una situazione in cui la maggioranza si riproduce identica a se stessa; viceversa è democratica una situazione in cui venga garantito il diritto delle minoranze a diventare maggioranze; 2. nella formazione di maggioranze e minoranze la questione della rappresentanza non è questione irrilevante.
Se assumo questo punto di vista, stento a riconoscere l’aderenza alla realtà di quello che, mi pare di capire, sia il tuo giudizio sugli “eventi del maggio romano”. Era un’assemblea di delegati da quali deleganti? Credo fossero tutti delegati di diritto, perché nominati qualche mese fa dalle “organizzazioni fondatrici” di Sel. Se è vero che nella costruzione di un’organizzazione da qualche parte bisogna pur cominciare, riproporre per l’elezione dei gruppi dirigenti a distanza di mesi e dopo due tesseramenti la stessa formula iniziale potrebbe rappresentare il problema e non la soluzione.
Qualche piccolo appunto: hai votato un coordinamento composto da persone che non conosci, (tranne una), ma hai scoperto che le tue aspirazioni e i tuoi obiettivi non sono originali perché li condividi con molti altri. Dov’è la condivisione e l’impresa collettiva? Della delega abbiamo detto; la conclusione allora non può essere che “ci andata bene perché almeno due sono delle ottime persone”, perché rimane per tutti “l’opacità del contesto e la mortificazione dell’organizzazione, del soggetto politico”, che, come dici tu, rimane “parassitato” e compromesso (se non distrutto) da questa ottica idiotistica e miope.
Benvenuto nel mio blog (e lo dico senza ironia).
Sul problema della rappresentanza sono d’accordo (tempo fa ho scritto questo: http://www.vincenzofiore.it/?p=82 ), ma spero te non intendessi dire che quello che ho descritto abbia qualcosa a che vedere con la costruzione di un consenso critico o di un percorso partecipato.
Né per la verità ha a che vedere con la costruzione di quella forma necessaria alla sostanza. Forma che io all’inizio io pensavo scontata, applicata a prescindere.
QIl fatto è che ciò che ho descritto ha a che vedere con rapporti personali, cosa che francamente è poco interessante non solo in senso astratto (per il Paese, per la sinistra, per i processi di lotta, per la trasformazione ecc. ecc.), ma è anche poco interessante per i singoli militanti.
Sulla questione delegati… quelli “non di diritto” (di cui faccio parte) sono stati votati tutti insieme in una lista bloccata: c’era virtualmente il modo di presentare una lista concorrente, ma il tempo era poco e la volontà anche meno. Per quello che ricordo, un gruppo si è adoperato per comporre una seconda lista in tutta fretta, ma anche in questo caso lo si stava facendo più che altro per impallinare qualcuno (ancora questioni personali), più che per presentare una prospettiva politica differente. In conclusione un pessimo metodo, che in parte replica le quote delle componenti, in parte no, dato che ad esempio io (e non sono l’unico) non provengo da nessuna delle componenti originali.
Quando vedrò una dialettica di confronto tra gruppi (anche solo due: maggioranza e minoranza), basata su analisi e strategie, almeno sarò contento che si sia fatto un primo passo: al momento non siamo ancora neanche lì.