Una delle cose che mi colpisce di più, oggi, riguardo al pensiero di Antonio Gramsci è la forza con cui è stato in passato e venga tutt’ora cancellato dai programmi didattici della scuola e spesso anche nelle università (con riferimento all’insegnamento della filosofia).
Una pura follia, che in parte deve essere motivata dalla consapevolezza della validità del suo pensiero ancora oggi, soprattutto nei suoi riferimenti all’egemonia culturale. Questa scelta è però in parte dovuta anche a semplice sciatteria, mista ad un generico sentimento di rivalsa nei confronti del PCI da parte di chi è stato per anni nella stanza dei bottoni del ministero dell’istruzione. Penso che ci sia questa componente per un semplice motivo: all’estero (per esempio per mia esperienza diretta nel mondo anglosassone) nessuno che si dica studiare i temi della filosofia politica potrebbe immaginare di tralasciare lo studio degli scritti di questo filosofo italiano (uno dei rari) o delle innumerevoli analisi compiute da altri a partire dal suo pensiero (a prescindere dal fatto che ne condivida o meno le conclusioni, ovviamente).
Nell’anniversario della morte, vale la pena rileggere un testo citato un po’ ovunque: peronalmente, ogni volta che mi capita di rileggerlo, mi chiedo quanto sia cambiato il nostro Paese e mi domando “Che fare?”. Ma questa è un’altra Storia.
Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
11 febbraio 1917
Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) è stato un politico, filosofo e giornalista italiano. Tra i fondatori del Partito Comunista d’Italia (1921), fu incarcerato fra il 1926 e il 1937 dal regime fascista di Mussolini e rilasciato poco prima della morte, avvenuta in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute durante gli anni di prigionia.