Bari, 22 Luglio 1943.
L’ora della riscossa è prossima. L’aria di lontano porta un suono di guerra. Combatteremo, e sarà la fine di questi giorni amari, e la fine di chi ce li procurò.
Giustizia e libertà pei popoli è la santa parola che si è dovuta tacere fin troppo. Fin ora siamo stati costretti a lanciarla solo nei cuori di quei pochi giovani, di cui ci si poteva fidare.
La nostra è la lotta alla ricerca del giovane, che l’accetti, che ne discuta con te la grandezza e la giustezza.
Ed è una lotta in silenzio, lontano dagli agglomerati di spie, che spesso con gran maestria s’infiltrano tra noi, piccoli uomini, cercando d’accalappiarci come cani rognosi e gettarci in luride carceri.
Quante gioie e dolori, quante vittorie e sconfitte, ci costano questi anni amari!
Ma è l’ora che apporterà vita e benessere, l’ora di nuovi rifacimenti è giunta. Il nostro sangue non deve essere men degno di quello dei nostri antichi padri.
Riconquistata la libertà, che non sfoci in licenza col lavoro, col dovere che ci lega ai nostri antichi, si risolleverà tutto ciò che è stato menomato, in quest’Italia, fonte di perenne cultura e di arte nel campo liberale, dal mal nome e dalle nefande azioni dei nostri degenerati fratelli.
La sorte ha voluto che uno di essi, più nefando degli altri, si ponesse in capo dei nostri fratelli ciechi. Ciechi, perchè più che ciechi non si debbono chiamare. E come un cieco può pestare un’immagine sacra, un fiore, una bellezza naturale, così anch’essi, guidati da un nefandissimo veggente, qual è il loro capo supremo, hanno pestato, ridotto in cenci, quello ch’era il nostro ridente paese.
Dopo tanti anni ora cominciano a comprendere, e piano piano, acciò che non siano silurati, s’allontanano dall’astuto e grande megalomane conduttore. E come se qualcosa di grande e di non umano ridonasse loro la vista, cominciano a muovere i primi passi, tardi, dopo più di vent’anni di lunga cecità e di profondo letargo.
In tutti oggi si rivela scontentezza, l’uggia, ed in alcuni il furore represso, ma è perchè vedono vicina l’immane catastrofe.
Perchè non prima il risveglio? Perchè sì tardi, proprio quando bussano alle porte dela penisola le forze liberatrici degli Anglo-Americani? Ma è facile comprenderlo. Ora si vedono con l’acqua alla gola. Fra poco le loro nefandezze, le loro disonestà verranno a galla e quindi è meglio coprirle con un po’ di finzione. E non rimorderà loro la coscienza dei mali commessi? E non starete lì, lontano da quelli che hanno combattuto questo nefando stato di cose, perchè la coscienza ve lo impedirà? Che la terra si sprofondi sotto i vostri piedi, chè non siete degni di calcare questa terra, uomini abbietti! Quanti malfattori, quanti omicidi imploreranno il perdono! Giustizia sia fatta su questi uomini. Non si guardi ad amicizia o parentela alcune, tutti passeranno ai tribunali; ai tribunali ove sarà fatta vera giustizia, tenendo conto del loro passato.
L’onestà provata di certi uomini ai quali sono stati fatti i maggiori torti, ai quali sono state inflitte le maggiori sofferenze, verrà a galla. Parleranno di loro gli amici, i parenti, la terra calcata da loro, le piazze, che ascolteranno in tempi migliori le loro giuste, oneste, grandi parole.
Fratelli, per quella giustizia, per quella libertà, che sarà consentito di dare e far trovare ai nostri figli, siate pronti alla riscossa!
Graziano Fiore
Il 28 luglio del 1943 un gruppo di manifestanti si muoveva disarmato per le vie di Bari chiedendo la scarcerazione dei detenuti politici e l’uscita dell’Italia dalla Guerra.
Nei pressi della sede del partito nazionale fascista, sciolto il giorno prima da Badoglio, i soldati spararono sulla folla facendo almeno venti morti (il numero esatto non è mai stato reso noto): tra questi, giustiziato con un colpo alla nuca, c’era l’autore di questa lettera, Graziano Fiore, un ragazzo di 18 anni (la strage di Bari è stata di recente ricordata con una medaglia d’oro al valore civile da parte del Presidente della Repubblica: LINK ).
Mi capita di fermarmi a pensare: cosa avrei fatto io a quell’età? Avrei avuto il coraggio di rischiare la vita, chiedendo pace, giustizia e libertà, per me, per i detenuti politici, tra cui mio padre e mio fratello, per tutti? Per amore della propria Nazione, secondo un concetto che la vuole libera, eguale, giusta e non asservita.
E poi, sono all’altezza oggi di questa libertà che mi è stata donata con il sacrifio di allora? L’ombra dei padri (e delle madri), a volte sembra pesare al punto che da rendere difficile muoversi, temendo il confronto. Ma è una prospettiva falsata, perché le azioni svolte nel passato sono invece un punto di partenza che ci permette di guardare più lontano.
“Le spalle dei giganti”, come dicevano gli scolastici.