“E perché non ti fai legale?” E’ sempre la stessa domanda che la gente mi fa quando viene fuori che sono clandestina, e devo sempre spiegare la mia situazione perché è poco conosciuta da chi ha già i suoi documenti (e potrebbe votare e migliorarla). Non mi faccio legale perché è praticamente impossibile. Conosco due metodi soltanto per diventare legale in Italia, e, ironicamente, richiedono delle azioni illegali per arrivarci.
Un modo per diventare legale sarebbe sposarsi con un italiano, ma, tranne il caso in cui lo fai veramente per amore, è illegale fare un matrimonio finto solo per i documenti. L’altro modo è fare finta d’essere badante (unico lavoro accettato di tanto in tanto e limitato dai “flussi”) facendo la domanda insieme ad una persona che fa finta di averti assunto e dato un salario. Tutti e due i modi richiedono sia di dichiarare una falsità sia di coinvolgere altra persona disposta a mentire per te.
In teoria un’impresa che vuole assumere uno straniero può fargli i documenti e farlo diventare legale, ma, in pratica, questo non è fattibile per due motivi: burocrazia e atteggiamento criminale. Nel mio caso, ad esempio, una persona che insegna la propria madrelingua in un istituto privato, è consentito il diritto di prendere sia un permesso di soggiorno sia il permesso di lavorare. La scuola dove lavoro,però, non vuole fare i documenti che sono necessari perché se resto clandestina sono più giustificati a tenermi in nero, risparmiando le tasse e i contributi che altrimenti avrebbero dovuto pagare. Conviene non aiutarmi diventare legale perché se sono clandestina la mia capacità di difendermi è gravemente diminuita poiché ovviamente mi sarebbe difficile denunciarli senza esporre anche mi stessa. Si arriva all’assurdo che chi assume, può fare finta addirittura di farmi un favore assumendomi nonostante che sia clandestina.
Il lavoro in nero e l’evasione delle tasse sono veramente un problema di cui la mia situazione è soltanto uno sintomo. Nella mia stessa scuola di lingue, una donna cittadina italiana col passaporto italiano fa tantissime ore settimanali e le capita ogni tanto di raggiungere fino ai 1.800 euro mensili. L’accordo che ha col capo afferma che il 60% del suo salario verrà dichiarato, una cifra già tanto bassa che i contributi associati non basterebbero per farla sopravivere quando dovrà andare in pensione. Però, nonostante questo accordo, il capo abbassa ancora di più la somma che dichiara finché in certe casi diventa meno del 10% dello stipendio originale. In questo caso, con un’insegnante cittadina italiana, l’istituto non ruba soltanto al pubblico evitando di pagare le tasse giuste che verrebbero utilizzati per i beni pubblici, ma, in più, ruba alla impiegata la sua possibilità di pensionarsi e riuscire a portare avanti una vita autonoma.
Il mio caso, essendo clandestina, è ancora più estremo perché non soltanto il datore di lavoro non paga neanche un centesimo delle mie tasse e i miei contributi, ma me lo fa di maniera che mi limita anche altri diritti, tipo libero accesso alla questura (perché ho paura che mi multano o deportano) o l’accesso ai servizi di sanità (perché non ho la tessera.) Se mi dovesse capitare di dovere andare in ospedale, l’unico servizio a cui posso accedere è quello di pronto soccorso. Tutto il resto dovrei pagarlo dalla mia tasca. L’impresa deve avere la responsabilità di prendersi cura dei suoi dipendenti, non soltanto dei suoi profitti.
Eppure, anche se l’impresa volesse aiutare i dipendenti a prendere il permesso di soggiorno, sarebbe difficile farlo. In Germania basta portare una lettere di offerta lavorativa e un documento che mostra la assicurazione medica all’ambasciata per diventare legale. Lì non c’è proprio una scusa per non farlo. Allora prima di punire le imprese italiane che fanno lavorare i migranti in condizioni di illegalità, bisognerebbe stabilire un modo concretamente realizzabile per legalizzare chi lavora. Deve essere un modo relativamente facile ed economico da effettuare: deve lasciare l’impresa senza scuse. Una volta fatto questo, le imprese che insistono nell’approfittare dei loro impiegati clandestini non devono essere più tollerate.
Scritto da una cittadina americana.
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Questo articolo è stato poi ripreso dal sito nazionale:
http://www.sinistraeliberta.eu/articoli/parola-di-clandestina
Spero che aiuti a diffondere un’idea di immigrazione costretta alla clandestinità dalle leggi.